Reportage

Il processo di inserimento delle comunità straniere raccontate ed analizzate da chi le vive quotidianamente: Don Marco Lai.
Integrazione a Cagliari

Migranti: una risorsa per la comunità

Una città che si spopola ogni anno e non riesce a trattenere i propri giovani può fare a meno di chi arriva da fuori?

 

Negli ultimi anni gli sbarchi di migranti provenienti con i, tristemente, famosi barconi dalle coste del nord Africa hanno occupato un ruolo sempre maggiore all'interno dei notiziari nazionali, nelle tribune politiche e nelle coscienze di tutti noi. Ci si è domandati come gestire questo fenomeno, che nonostante vada avanti da più anni, sembra sempre coglierci impreparati.

É risaputo ormai che l'Italia non è una meta di destinazione, ma è solo la spiaggia su cui sbarcare per poi ripartire ed arrivare nel Nord Europa, magari per ricongiungersi con familiari, o semplicemente per trovare un lavoro. In ogni caso in Italia, come in Sardegna, sembra quasi che si spinga affinché questo “passaggio” avvenga quanto più velocemente possibile. Ma se questo non fosse il modo migliore per gestire questo flusso di persone?

Don Marco Lai crede che questi migranti possano essere una risorsa importante per il Paese, ed in particolare ritiene che potrebbero essere un punto da cui ripartire per generare economia a Cagliari. Queste le sue parole a proposito della questione dei migranti.

La migrazione di queste persone è una migrazione forzata che passa attraverso il mare. O meglio da noi in Italia arriva dal mare anche perché qui si viene solo di passaggio per poi andare verso il continente e quindi Germania o Nord Europa. Questi luoghi sono la vera meta, anche perché li la cultura dell'immigrazione è più avanzata rispetto a noi. Basti pensare che la Germania ha 20 milioni di immigrati e non è un caso che poi sia capofila nell'economia europea. Chi si chiude finisce irrimediabilmente per rimanere povero. Questo fenomeno, che ha preso piede in maniera massiccia dal 2007, è innanzitutto il grido del sud del mondo. Così come dalle periferie delle nostre città si solleva una voce che chiede di contare un po' di più, di avere pari opportunità ecco che lo stesso accade nel sud del mondo.

I numeri sono significativi, basti pensare ai 2 milioni di profughi presenti in Turchia, che non fa il discorso del concedere asilo politico perché spera che la situazione si stabilizzi per poi farli tornare nei loro paesi d'origine. In Giordania, nazione piccolissima, i profughi sono 1 milione e 800 mila, in Libano sono 800 mila, per cui noi di cosa ci lamentiamo? Bisogna dare il giusto valore a quello che diciamo, probabilmente siamo un po' strabici, un po' ciechi. Abbiamo un modo di vedere le cose che è condizionato e che non è reale, dovremmo leggere i numeri e capire esattamente cosa succede e cosa sta succedendo nel mondo.

La mobilità umana, poi, non è una questione di oggi, forse bisognerebbe riconoscerlo come un diritto universale. Oltre alle guerre c'è poi una condizione politico-economica sulla quale noi non abbiamo aiutato e forse ne siamo almeno in parte la causa. Basti pensare alla presenza occidentale rapinatrice di risorse in Africa. E' anche vero che poi questo flusso prima o poi ritornerà verso sud, ed allora dovremo ritornare a fare figli perché non avremo più braccia lavoro

Il senso di invasione che viene percepito in Italia non aiuta di sicuro ad instaurare una base proficua affinché si gestisca più serenamente l'arrivo di queste persone. Forse guardando i numeri, confrontandoli con quelli di altre realtà o con quelli dell'emigrazione italiana, ci si renderebbe conto di quanto questo fenomeno ci riguardi in maniera diversa rispetto al credere comune.

Se in Italia sono entrati 140 mila immigrati fin ora, dall'Italia son partiti 400 mila italiani (che entro l'anno potrebbero diventare 450mila). Per cui se il diritto alla mobilità vale per noi, allora vale anche per gli altri: cioè non sono gli altri che invadono noi, siamo noi che stiamo ancora invadendo gli altri!

Questo movimento di persone, poi, ci sembra più grande di quello che è in realtà, basti pensare che nel 2015 in Europa sono entrati circa 530/ 550 mila immigrati, di questi solo 137 mila sono passati per l'Italia. In Sardegna, poi, arriva di questa mobilità forzata solo il 2,8% di quanti sbarcano in Italia.

Quando noi ci lamentavamo di doverne accogliere poche centinaia, la Germania ne accoglieva 100 o 200 mila, una nazione piccola come la Svezia ne accoglieva 40 mila integrandoli di fatto nella società. Dovremmo quindi cercare di sminuire questa sensazione di accerchiamento anche perché forse bisognerebbe imparare a valorizzare la nostra posizione su questo fenomeno.

Gli immigrati come soluzione alla crisi economica: questa è l'opinione di Don Lai. Secondo il direttore della Caritas di Cagliari, i migranti sono una risorsa che si dovrebbe cercare di trattenere, in quanto potrebbero rinfoltire e rinvigorire settori importanti come l'agricoltura e a Cagliari la pesca.

Io sono uno degli assertori del diritto alla libertà di mobilità universale senza se e senza ma. Non dico che li avrei voluti trattenere per forza, ma il fatto che abbiano fatto chilometri, siano arrivati  in Sardegna e poi non si siano fermati, dimostra una nostra grande debolezza. Se è vero che li dove arriva l'immigrato c'è una chance in più di sviluppo, in un contesto di deriva demografica come il nostro, questa situazione dimostra che stiamo fallendo. Questa mobilità forzata ha messo a nudo tutta la nostra fragilità, non abbiamo nessuna capacità attrattiva, non abbiamo nessuna capacità progettuale per cui qualcuno dica “sono arrivate queste persone, adesso andremo a coltivare di nuovo il grano”. Queste cose non sono state pensate e questa situazione ci scivola addosso nell'indifferenza peggiore.

Pensiamo agli stagni di Cagliari, al porto, al mare. Un'isola circondata dal mare che ha un piccolissimo fatturato derivante dalla pesca è dovuto al fatto che abbiamo poche braccia lavoro in questo settore. Anche di recente ho detto che è necessaria una vera e propria riforma agraria, che è quanto è stato fatto in Scozia e Galles dove si è rischiato il tracollo nel settore agricolo e pastorale. Ebbene qui sono riusciti a reinserire forza lavoro, oppure basti pensare all'eccellenza del Parmigiano Reggiano che sta in piedi grazie a comunità straniere che lavorano nelle stalle e permettono quindi di produrre questa eccellenza. Cagliari è circondata dall'acqua, cioè siamo esposti al contatto con il mondo mediterraneo, ed è incredibile come ci ostiniamo qualche volta a pensare che possa esistere una possibilità contraria.

Infine un pensiero verso la governance di questo fenomeno. La gestione dall'alto del fenomeno migratorio non è stata, finora, delle più efficaci. Questo probabilmente spingerà i paesi europei a rivedere i luoghi dove si devono prendere le decisioni su questi argomenti e Don Lai ha già la soluzione.

Molto presto credo che il luogo delle decisioni non sarà più Bruxelles ma forse nel cuore del mediterraneo, li dove c'è veramente l'incontro tra Africa ed Europa. In questo momento è a Cagliari, Tunisi o Palermo il luogo giusto dove confrontarsi sul tema della mobilità forzata che viene dall'Africa, non può esserci solo Bruxelles, bisogna che si inizi a parlare di mobilità nei luoghi dell'incontro. Noi abitanti del sud del mediterraneo viviamo da tempo questi problemi rispetto all'Europa continentale, sono i problemi che ci sono tra nord e sud del pianeta, per cui questa mobilità forzata può essere un'occasione di rivalsa per il sud dell'Europa rispetto al nord, diventa l'occasione per contare di più e spostare il centro delle decisioni.