Reportage

L’ospedale psichiatrico di Cagliari. Storia e Testimonianze.
Apparecchio per l'elettroshock, Wikimedia Commons, Paul Hermans
Apparecchio per l'elettroshock, Wikimedia Commons, Paul Hermans

Medici pazienti e terapie

La figura chiave dell'ospedale psichiatrico era senza dubbio il Direttore Sanitario selezionato dal Consiglio Provinciale in base ai titoli scientifici posseduti e all'esperienza maturata nel settore.

Il Direttore era a capo di tutto il personale medico e infermieristico e verificava che tutti adempissero correttamente ai propri doveri, supervisionava la cura dei malati assicurandosi che, anche in caso di malanni fisici, venissero visitati da appositi specialisti e regolava i rapporti tra i degenti e i loro familiari che si rivolgevano a lui per avere maggiori notizie sui congiunti ricoverati - sono migliaia le epistole indirizzate al Direttore sopratutto da parte di famiglie che diversamente avrebbero dovuto attraversare tutta l'isola per avere maggiori delucidazioni sullo stato di salute del proprio caro. Era il solo, inoltre, a stabilire se rilasciare o meno un eventuale permesso di visita.

Dal catalogo della mostra L'occhio della Cronaca di Josto Manca.  Archivio fotografico Unione SardaLe pratiche relative al ricovero di un nuovo paziente, invece, erano gestite dal medico di guardia che, oltre alle generalità dell’ultimo arrivato, annotava nella cartella clinica la testimonianza di chi lo accompagnava investigando anche sulle possibili inclinazioni genetiche della famiglia. Era tenuto, inoltre, a perquisirlo e a fare un inventario da consegnare al Primario di tutti gli oggetti che il paziente portava con sé. Dopo averlo sottoposto al cosiddetto bagno di pulizia a 30/33 gradi ed avergli tagliato barba capelli e unghie, lo visitava accuratamente applicando, se necessario, i mezzi di contenzione come l’allora noto “giacchetto di forza”.

L'ultima parola spettava al Primario che, dopo un periodo di isolamento non superiore ai quindici giorni in cui il paziente stava sotto osservazione, stabiliva se e il soggetto fosse affetto o meno da follia, se dovesse o meno trattenersi in manicomio e a quale tipo di terapia dovesse essere sottoposto.

La maggior parte delle terapie somministrate miravano in primo luogo ad indebolire i pazienti e consistevano inizialmente in applicazioni di sanguisughe, bagni freddi o purghe. Solo raramente erano volte a migliorarne le condizioni fisiche generali e consistevano, ad esempio, nell'aggiunta di qualche uovo o di un bicchiere di latte alla dieta dei pazienti più tranquilli. Intorno agli anni '40, invece, cominciarono ad avere più ampia diffusione le cosiddette "terapie da shock" come lo shock insulinico indotto ai matti diabetici che venivano mandati in coma e che, quando e se si risvegliavano, sembravano dare segni di miglioramento o l'elettroshock giudicato molto utile nei casi di depressione, ma che a causa della violenza delle scariche elettriche poteva provocare importanti fratture nel paziente. Fintanto che la Colonia agricola restò in funzione fu praticata inoltre l'ergoterapia o terapia occupazionale che utilizzava il lavoro come strumento terapeutico ma apparentemente senza risultati degni di nota.