“Costantino Nivola: un artista, una vita” è la mostra fotografica dedicata allo scultore di Orani esposta nel Foyer del Teatro Lirico di Cagliari fino al 29 luglio. Il percorso è costituito da 56 immagini che rappresentano i momenti di lavoro, di dialogo e di intimità familiare
La stanza è di un bianco marmoreo, raggelata dal silenzio delle pareti nude. A intiepidirla lo scambio di effusioni tra padre e figlio. Lui, Costantino Nivola, ha la sigaretta tra le dita, le gambe accavallate, lo sguardo beffardo. L'altro, il figlio Pietro, irrequieto tra i braccioli della sedia a dondolo. La foto è di Ben Schulz, ed è una delle tante sequenze sull'artista sardo esposte al Foyer del Teatro Lirico di Cagliari, su iniziativa del Mat e la Fondazione Nivola di Orani, rappresentati rispettivamente da Gabriella Locci e Ugo Collu.
Costantino Nivola: un artista, una vita è uno sguardo alla dimensione artistica dell'oranese, ma anche a quella più intima, più riservata, attraverso foto, sculture, testimonianze. Le foto in bianco e nero riferiscono di scambi, con Le Corbusier, Enrico Peressutti, Willem De Kooning, ma anche di momenti familiari, incontri con la gente di Orani, i bambini, a ricordargli le umili origini. Perché lui si portava dietro «il duro lavoro da muratore e la leggerezza dei sogni» - per dirla come Ugo Collu, nel catalogo di presentazione. Perché per Antine fare il muratore era pesante e allora evadeva attraverso i disegni, che traboccavano già del suo genio. A nulla valeva essere considerato da tutti uno sfaccendato. Poi il riscatto presso la bottega di Mario Delitala, la borsa di studio che gli permetterà di studiare all'Isia di Monza, la Bauhaus italiana, dove già erano approdati i conterranei Giovanni Pintori e Salvatore Fancello. Parigi con Carlo Levi, Emilio Lussu di cui esegue i ritratti. E poi l'America, la sua fortuna forse.
Eccolo con l'amico di Dorgali scomparso prematuramente all'età di 24 anni in guerra. Eccolo al lavoro alla facciata della Madonna d'Itria nel 1958, eccolo con la moglie Ruth, eccolo meditare in solitudine nella spiaggia di East Hampton. «C'è un senso di immobilità: l'attimo di immobilità del violinista quando appoggia l'archetto sulle corde, prima di cominciare a suonare». Quante ispirazioni nascevano durante quelle passeggiate foriere di emozioni. Quante opere in cui riecheggiano le scaturigini di Orani, i rituali del mondo domestico e comunitario: il pane, i lettini, le spiagge, le piscine, le dee madri scolpite su marmo, pietra o bronzo. Forme levigate e nitide, essenziali e geometriche che recupera anche nei ventagli aperti della grande “Vedova” esposta in mostra. Accogliente e austera come le rocce granitiche di Orotelli che avevano «una forma spaventosamente umana», scriveva nelle sue Memorie. Appare più sfrondata dell'imponente scultura a blocchi cubici che accoglie all'ingresso del teatro o del modello realizzato col sand-casting, la colata di cemento e sabbia che aveva imparato quando era mastru 'e muru.
Da questo gioco improvvisato di materiali naturali erano nate le imponenti opere della Hartford Insurance, le metope che fasciano le strutture architettoniche di Saarinen. Anche lì proponeva quelle forme archetipali e mitiche della sua isola. Un sardo sa sempre come custodire le proprie memorie, sa come perpetuarne il ricordo. Lo vediamo nella foto in bianco e nero di lui al lavoro nel suo studio; Antine seduto al tavolino, davanti al cavalletto e un bozzetto in gesso. Fuori la pioggia battente di un grigio inverno americano. Quell'atmosfera sembra estranea, eppure anche lì tutto è pregnante della sua terra.
MARIA DOLORES PICCIAU
12/06/2008