Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Mimì è Francesca Sassu, così giovane, così determinata

Fonte: L'Unione Sarda
7 gennaio 2010

Appena 25 anni, il soprano sassarese ha già debuttato alla Scala, e domani «finalmente a Cagliari» con Bohème

Ha il piglio deciso di una cantante rock e una freschezza che va oltre i suoi venticinque anni. L'età giusta per affrontare con energia una carriera tutt'altro che facile, l'età giusta per essere (domani a Cagliari sul palcoscenico del Lirico) un'intensa Mimì. Francesca Sassu indossa jeans, scarpe sportive e una maglia di Hello Kitty mentre si racconta nel bar del Teatro. I capelli lisci le lasciano scoperto il bel viso, il trucco leggero è limitato agli occhi che non si sa se definire verdi scuri o nocciola. Lei scioglie il dubbio: «L'iride è nocciola, come quelli di mia madre, il contorno verde, mio padre li ha verdissimi». Un'affermazione netta, decisa, una delle tante di questo risoluto soprano sassarese che ha il pregio di sapere quello che vuole («sono una spugna, apprendo tutto ciò che mi stimola») ma anche l'intelligenza di non darsi arie. Semplicemente è così: tosta. Sarà che ha giocato per sei anni a pallavolo, sarà che ha conosciuto il rigore e la fatica della danza. studiando e ballando con la compagnia sassarese “Tersicore”. «Ho sempre amato la musica classica ma non avevo certo in mente di studiar canto. Poi una mia carissima amica mi ha convinto ad iscrivermi a un coro e così è cominciato l'interesse per il canto». L'esame di ammissione in Conservatorio quasi per gioco, due giorni dopo il limite minimo dei sedici anni, e una passione che nasce a poco a poco. Fino al concorso di Spoleto, affrontato a vent'anni con pochissime speranze, giusto per prendere le misure alle sue ambizioni. Si è classificata tra i primi tre, vincendo una borsa di studio che le ha permesso di seguire maestri come Raina Kabaivanska e Renato Bruson e di preparare alcune opere con cui debuttare. «Sono stata fortunata: Oberto, conte di San Bonifacio , prima opera di Verdi, Cleopatra di Cimarosa, Bohème . Mi sono servite moltissimo, per formarmi e per farmi conoscere». Con Bohème è tornata di recente al Piccinni di Bari, al fianco di Francesco Demuro, 33 anni, sardo come lei e antico compagno di Conservatorio. «È stato bello cantare con lui».
Ora il debutto a Cagliari, al Lirico. Lei ha già calcato questo palcoscenico con l'omaggio a Giusy Devinu, un anno fa...
«È stato emozionante. Non l'ho conosciuta, purtroppo, ma quando vinsi a Spoleto, come lei tanti anni fa, mi mandò un mazzo di tulipani e un biglietto affettuoso. Adesso che dire? Sono molto emozionata. Qui ho trovato una grandissima accoglienza, mi sono sentita a casa mia. Eppoi nel coro ritrovo i miei compagni di Conservatorio. Ed Elisabetta Scano-Musetta, che stimo moltissimo. Sarei dovuta venire tempo fa per un Falstaff ma avevo un impegno con Muti a Salisburgo e non è stato possibile far quadrare le date. Anche stavolta ci sono stati problemi, avrei dovuto cantare con Anna Caterina Antonacci a Parma ma non potevo certo rinunciare ad essere qui!».
Sassari?
«Concerti sì, nelle chiese, o nella sala Siglienti del Banco di Sardegna. Ma mai un'opera. Aspetto di farne una, per me è importante. Col teatro lirico sassarese ho lavorato per tre anni come maestro di palcoscenico e di sopratitoli».
Proprio in questo ruolo ha conosciuto - grazie al maestro Stefano Garau - il suo futuro compagno, il siciliano Andrea Certa, pianista e direttore d'orchestra, direttore musicale del Luglio trapanese, padre di Aurora, una bimba bionda di tre anni che sembra aver le idee chiare della madre.
Seguirà le orme dei genitori?
«Per ora sa già come muoversi in teatro, quando entra in platea parla sottovoce, conosce a memoria le parti del coro dei bambini di Parpignol. Mi ha detto che da grande vuole imparare a usare la lavatrice come me, ma io spero voglia fare l'astronauta».
È così duro fare la cantante lirica?
«Ci vuole un carattere forte, di calci in bocca se ne prendono tanti. Io poi sono sempre la più piccola, quasi sempre l'unica non famosa, quindi la più esposta. Se la prendono con me, non con gli altri. Dopo i primi tre rospi da otto quintali che ho ingerito, anche se mi passa sopra un tram non sento niente».
Fortuna?
«Ce ne vuole, eccome. Non so se esiste ma è un congegno del destino, prima o poi succede, si scoprono ingranaggi che a volte lasciano perplessi. Per quanto dipende da me, non lascio nulla al caso. E so ascoltare i buoni consigli: su tutti quelli di mio marito, della mia carissima amica Paoletta Marrocu, un animale da palcoscenico, di Barbara Frittoli e Natale De Carolis, i miei maestri, i miei angeli custodi. A loro devo davvero tanto, su tutti i piani».
A chi altri deve molto?
«Ai miei genitori che mi aiutano in tutti i modi, a mia sorella Eleonora, a mio marito che oltre che un giudice severo e prezioso è un padre amorevole. A Salisburgo, dove ho fatto con Muti Il matrimonio inaspettato di Paisiello, nostra figlia aveva 45 giorni ed era lui a cambiarle i pannolini mentre io cantavo».
Sa dire no quando è necessario?
«Ne ho detto più d'uno. La mia voce è stata spesso fraintesa. Avendo un colore vagamente brunito spesso mi vengono offerte parti di repertorio pesante che non posso accettare. Preferisco rimanere a casa sei mesi che affrontarle. Se si fa un passo falso non si torna indietro. Dovessi accettare una Tosca non mi proporrebbero più un Don Pasquale , mai più un Mozart. Avendo una voce ancora molto giovane voglio sfruttare le caratteristiche in questa età, agilità, sovracuti cose che non potrò fare fra dieci anni. Insomma non voglio lasciare nulla al caso».
Lei ha già debuttato alla Scala con Riccardo Chailly, nel dittico pucciniano “Gianni Schicchi” e “Suor Angelica”. Quali sono gli impegni futuri?
«Ne ho una dozzina in via di definizione, il principale è una Carmen a Liegi. C'è stato un cambio di agenzie, non so ancora bene dove sono atterrata, comunque sto concentrando all'estero molta parte della mia carriera».
Un direttore su tutti?
«Riccardo Muti. Mi aspettavo un orso, un giudice terribile, ho trovato un uomo simpatico, aperto, generoso con i giovani. La sua visione della musica, il suo rispetto dei segni che la partitura indica, sono una lezione che non dimenticherò. Soprattutto la vera tecnica all'italiana, cioè tutto il canto giocato sull'articolazione della parola. Le sue lezioni sui recitativi, sull'articolazione della parola, sul cambiamento di colore e di timbro a seconda di ciò che si dice.... sono un filtro per attraversare qualunque cosa, affrontare qualsiasi repertorio».
Che cosa la emoziona di più?
«Entrare in scena. Durante le prove sono una persona razionale e professionale. Cerco il contatto con i colleghi, il direttore, il regista. Poi, quando canto, penso innanzitutto a divertirmi, a entrare nella vita di un'altra persona. Con Puccini è facile, basta lasciarsi andare, liberarsi di tutto e concentrarsi sulle emozioni».
MARIA PAOLA MASALA

07/01/2010