SABATO, 12 DICEMBRE 2009
Pagina 41 - Cultura e Spettacoli
Fino al 30 gennaio nelle sale del Ghetto «99 click+1», una mostra con le opere originali di grandi fotografi
Cento immagini simbolo del secolo appena trascorso
WALTER PORCEDDA
C’è persino il celebre «Guerrillero Heroico», l’immagine che Alberto Korda, alias Alberto Diaz Gutièrrez realizzò all’Avana il 5 marzo del 1960: Ernesto Che Guevara.
Il Comandante, basco con la stella sui capelli lunghi al vento guarda lontano, verso la Rivoluzione Permanente. Il suo volto si staglia solitario come un totem all’interno di «99 click+1», titolo quasi esoterico per una mostra di e sulla fotografia, da oggi e fino al 30 gennaio 2010 nello spazio del Ghetto di Castello, che qui ha riunito in un centinaio di opere originali e vintage le immagini simbolo del secolo scorso. Esposizione di prestigio interamente pensata e realizzata da una fondazione che ha sede ad Asti, Giov-Anna Piras, diretta da Flavio Piras, artista nato a Piscinas che questa mostra l’ha pensata e realizzata assieme ad Antonio Manca, collezionista d’arte contemporanea.
Il «Guerrillero», come le altre immagini, scandisce un catalogo virtuale del Novecento, coincidente con i passaggi più dolorosi e tramuatici, ma anche quelli frivoli ed edonistici della sua Storia. In una parola: icone. Immagini che, a dispetto della loro realizzazione, talvolta ammantata da dubbi, hanno avuto comunque un efficace potere evocativo diventando cartine di tornasole del proprio tempo, vessilli addirittura o simboli tout-court di un immaginario che viene così rivelato nei segni e nelle utopie come nei suoi ideali e valori. Nel bene come nel male. Ovviamente - e questa mostra lo certifica benissimo, come spiega d’altra parte l’interessante analisi del catalogo curata da Giuseppe Pinna - siamo definitivamente fuori dalle secche dell’equazione fotografia eguale realtà. Mito e inganno che, per quamto riguarda in particolare la fotografia, ha attraversato largamente il secolo scorso per passare poi l’ambiguo testimone alla televisione.
Già la stessa immagine del «Guerrilero» divenuta mondialmente famosa dal 1967 in poster e T shirt, è stata ricavata dall’ingrandimento di una foto in cui il Che assiste con altri a una cerimonia pubblica. La foto venne cioè in qualche modo ricostruita a tavolino, ri-disegnata se si vuole. Altri esempi eclatanti e presenti in questa esposizione sono la celebre foto del miliziano repubblicano che muore, scattata da Robert Capa, della quale anche recentemente si è avanzato più di un dubbio sulla sua effettiva “realtà”. Ma anche se così non fosse nulla toglie al forte potere evocativo di quella immagine simbolo. Come, ad esempio, per cambiare di registro è il celebre - e forse più riprodotto al mondo - scatto di Robert Doisneau raffigurante il bacio dei due giovani davanti all’Hotel de Ville a Parigi. Oggi si sa che fu “montata” dal fotografo. Ma il mito resistette per decine di anni. E dubbi sono spuntati anche su quell’altro famoso bacio scoccato dal marine americano a Times Square nel 1945 e immortalato da Alfred Eisenstaedt. Per non parlare della celebre immagine sulla luna dell’astronauta Armstrong dell’Apollo 11 sulla quale in tanti hanno avanzato il sospetto di un set ad hoc. Sicuramente non è invece un falso quella di Nick Ut, «Napalm girl», scattata in Vietnam nel 1972, per la quale esistono numerose testimonianze in proposito (a partire dalla bambina oggi adulta e residente in America). Ma in «99 click+1» questo è solo uno dei temi di riflessione che viene allo scoperto. Altri sono suggeriti. Cominciando da quello della influenza giocata da diversi fotografi nella cultura del secolo scorso. In tanti, ad esempio, hanno mostrato e suggerito altri sguardi sull’arte stessa (da Atget a Lartigue, da Modotti a Frank, da Brandt a Klein fino ai nostri Ghirri, Fontana, Berengo Gardin...), sulla moda (da Avedon a Newton) e la ricerca etnografica: dalla geniale Diane Arbus a Dorothea Lange con i loro click sulla grande Depressione sino al nostro Franco Pinna (presente con due scatti “sardi”) e il geniale Henri Cartier Bresson.