Rassegna Stampa

La Nuova Sardegna

Da Cagliari sino a Buggerru quasi tutte le abitazioni realizzate sugli alvei dei fiumi

Fonte: La Nuova Sardegna
12 novembre 2009

GIOVEDÌ, 12 NOVEMBRE 2009

Pagina 2 - Cagliari



Allarme di Legambiente: il rischio idrogeologico è altissimo, solo alcuni Comuni hanno un piano di delocalizzazione



Nel 59 per cento dei casi in bilico interi quartieri

PABLO SOLE
CAGLIARI. Solo poche settimane fa, nel ricordare l’anniversario dell’alluvione che il 22 ottobre scorso ha stravolto Capoterra e si è portata via cinque persone, politici e amministratori pubblici erano concordi: mai più. Passare ai fatti è cosa ben diversa. E a scorrere il report di «Operazione fiumi 2009» stilato da Legambiente e dal dipartimento nazionale di Protezione civile, ben si capisce come quelle parole - prevenzione e rispetto dell’ambiente - altro non fossero che degli sterili slogan.
Il quadro della situazione, a dispetto degli annunci politici ad uso e consumo dell’urna elettorale, lo tracciano bene i numeri snocciolati ieri mattina in conferenza stampa dalla portavoce del progetto, Paola Tartabini. «In Sardegna i Comuni considerati a rischio idrogeologico sono circa 42. Su un campione di 17 amministrazioni, tra Cagliari, Budoni, Posada e Buggerru, l’82 per cento presenta abitazioni costruite negli alvei dei fiumi e nelle aree a rischio frana e nella metà dei casi e in un caso su due, nelle stesse zone sono presenti attività industriali. Il problema inoltre non è limitato a singole case, visto che nel 59 per cento dei casi si tratta di interi quartieri». In questo caso, le amministrazioni comunali avrebbero dovuto, come minimo, studiare un piano di delocalizzazione dei fabbricati: è accaduto solo nel 18 per cento dei casi e limitatamente alle abitazioni. Sul versante industriale, infatti, la percentuale scende ad un rivelatore 6 per cento. «Qualche timido segnale positivo arriva dalla pianificazione dell’emergenza e dall’organizzazione della protezione civile locale - si legge nello studio - un abbondante 53 per cento dei Comuni ha predisposto un piano di emergenza con il quale fronteggiare situazioni di crisi idraulica: peccato che solo il 6 per cento lo abbia aggiornato negli ultimi due anni». Paola Tartabini ha rimarcato come «i Comuni sardi non abbiano inserito le tematiche di prevenzione di alluvioni e frane tra le priorità del lavoro. L’urbanizzazione delle aree a rischio, delle sponde dei fiumi e dei versanti franosi non è solo un’eredità degli anni passati, ma anche dell’attuale politica di gestione del territorio che pone a rischio la sicurezza dei cittadini». Più esplicito il commento del presidente regionale di Legambiente, Vincenzo Tiana: «La maggiore vulnerabilità del nostro territorio è attribuibile ad un uso del suolo e delle acque che troppo spesso continua a non considerare le limitazioni imposte da un rigoroso assetto idrogeologico. Da troppo tempo, infatti, gli amministratori sottovalutano il rischio idrogeologico, investono pochissimo sulla manutenzione dei corsi d’acqua e la situazione è aggravata dall’abusivismo, dall’urbanizzazione irrazionale, dal disboscamento dei versanti oltre che dall’ormai evidente mutamento climatico. Per questo chiediamo che i Comuni rivedano i i loro piani urbanistici (Puc) alla luce dei Piani di assetto idrogeologico, puntino sulla delocalizzazione e sul monitoraggio e la costante manutenzione delle aree a rischio».