Rassegna Stampa

La Nuova Sardegna

Man, il progetto messo a nudo

Fonte: La Nuova Sardegna
4 giugno 2008

MERCOLEDÌ, 04 GIUGNO 2008

Pagina 37 - Cultura e Spettacoli


A Festarch gli architetti incaricati per la nuova sede hanno illustrato la loro proposta raccogliendo consensi



La replica dei professionisti sulla facciata dell’edificio «Pieno rispetto per Nivola»

PAOLO MERLINI
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«La parola al colpevole». Achille Bonito Oliva ha introdotto così, domenica a Cagliari durante Festarch, l’architetto Gianni Filindeu, uno dei progettisti della nuova sede del Man, e dunque ideatore dell’ormai famigerata facciata che dà (che dovrebbe dare) su piazza Sebastiano Satta. «Colpevole di non essere una griffe», ha aggiunto Marcello Fois, seduto accanto al critico e alla direttrice del museo Cristiana Collu, «perché se fosse stato uno dei grandi nomi visti qui a Festarch la discussione neppure si sarebbe posta». L’incontro aveva per tema il «Tour della vittima», il progetto artistico creato dal museo proprio per la festa per l’architettura, ma l’argomento catalizzante è diventato subito l’ampliamento del Man al centro di polemiche da settimane. Bonito Oliva aveva parlato di «caccia sadica» nei confronti del museo e della sua direttrice, Fois di una «sacralizzazione di Nivola, che non sarebbe piaciuta neppure all’interessato, per non parlare delle sue vestali».
Loro, gli autori del progetto (Filindeu e un altro architetto, Ignazio Caredda), in queste settimane di polemica hanno scelto la via dell’understatement, anche di fronte a critiche che andavano oltre il legittimo confronto sulla filosofia dell’intervento. Come l’invito a esercitarsi in periferia e non in un centro storico.
Trentasette anni, nuorese, laureato a Roma, dove ha lavorato alla Galleria nazionale d’arte moderna e poi per importanti committenze private, è tornato in Sardegna da tre anni. All’attività di libero professionista affianca quella di docente a contratto alla facoltà di architettura di Alghero. Dove insegna, accanto a un nome internazionale come quello del portoghese Goncalo Byrne, guarda caso proprio progettazione nei contesti storici. Parlando nella sala 3 dell’ex manifattura tabacchi, stracolma, Filindeu ha manifestato anzitutto il proprio stupore per come, attraverso una sola immagine, fra l’altro virtuale, della futura facciata, si siano manifestate tante certezze e sentenze di condanna su un progetto che, alla fine, pochi conoscono.
«Il Man - ha detto Filindeu - ha scelto una strategia di ampliamento che è quella di invadere, in senso figurato ovviamente, il centro storico in punti nevralgici, cercando di ricavare un percorso artistico all’interno della città in edifici preesistenti». Una strategia, dunque, lontana dal gigantismo modello Guggenheim di Bilbao che è stato pure tirato in ballo in questa polemica. L’attenzione su piazza Satta, ha proseguito l’architetto, è stata perciò fisiologica e inevitabile per la continuità tra via Satta (dove sorge l’attuale sede del museo) e la piazza intitolata al poeta. Una circostanza fortunata, rileva Filindeu, proprio per la straordinarietà dell’opera di Nivola. Perché è singolare che una piazza che ha un così forte impatto emotivo su chi la visita, specie la prima volta, sia frutto di una serie di elementi di pregio su cui Nivola ha dato prova di tutte le qualità che generalmente gli vengono attribuite: scultore ma anche urbanista, designer e profondo conoscitore dei materiali. Si scopre così, nel racconto «tecnico» di Filindeu, che poco o nulla è stato lasciato al caso: la disposizione dei lastroni in granito, quella delle sedute, poi dei grandi massi posti a mo’ di recinto, più un altro enorme menhir che Nivola chiamava Sardus Pater; o le statuette in bronzo del poeta che si trovano tutte alla stessa quota percettiva (piazza Satta è concepita come un piano inclinato). L’architetto ha poi evidenziato come i lastroni della pavimentazione non giungano mai, nell’intero perimetro della piazza, sino alle case, ma «la corona degli edifici viene arginata da un metro di ciottolato». Secondo Filindeu, dunque, le caratteristiche specifiche delle abitazioni non erano per lo stesso Nivola un elemento determinante dell’opera che intendeva realizzare, anche per lo scarso valore architettonico che gli attribuiva. Una valutazione avvalorata dal fatto che per ricavare l’ampio spazio attuale della piazza furono abbattuti diversi edifici. Uniche, ormai notissime condizioni, l’utilizzo del colore bianco per le facciate (violato in almeno un paio di casi, senza clamori eccessivi: chi colorando di rosa, chi portando a vista i blocchi di granito) e il divieto d’accesso all’auto (violato anche questo sino a pochi mesi fa, quando è stato installato un orribile ma efficace dissuasore).
«È stato detto - ha continuato Filindeu - che l’ingresso da noi progettato assomiglia a una serranda, ma nessuno ha guardato le quattro serrande in metallo che si affacciano realmente sulla piazza. Uno degli edifici più grandi, la scuola materna, ha le finestre in alluminio anodizzato ma tutti si sono concentrati sul fatto che la nostra facciata non avesse finestre. E nessuno ha pensato a come uno spazio così concepito possa essere utilizzato per proiezioni di video o film, al posto dei teloni o dei palchi in tubi Innocenti che ogni estate fanno la loro desolante comparsa nella piazza».
Dopo queste considerazioni, Filindeu ha illustrato come sono stati utilizzati gli edifici che compongono la nuova ala del museo, formato dall’unione delle case Deriu e Calzia e dell’ex albergo Sotgiu. Il fatto che i primi due edifici, comunicanti, si affaccino l’uno su via Angioy, strada di raccordo tra piazza Satta e il corso Garibaldi, e l’altro sulla piazza, ha suggerito di utilizzare il salto di quota di un livello tra le due facciate creando un unico volume, che comprende sostanzialmente tre livelli, dove il visitatore ha una percezione diretta e immediata dell’attività del museo, ma anche dei suoi servizi, dal book shop alla caffetteria. E la piazza? Che dire del famoso e contestato ingresso largo quasi sette metri e alto due e mezzo? Se questa è, metaforicamente, la bocca che ha suggerito agli oppositori del progetto, altrettanto metaforicamente, la volontà di «cannibalismo culturale» da parte del Man verso piazza Satta, Filindeu replica che lo spirito di quell’ingresso certo più largo di quell’attuale («vi rendete conto che si sta difendendo un portoncino in alluminio anodizzato?!», aveva ammonito poco prima Marcello Fois) non ha nessuna volontà prevaricatrice sulla piazza, né pretese accentratrici di tipo estetico o semplicemente visivo sull’opera di Nivola; ma è comunque una necessità, perché è l’ingresso di un’istituzione che ogni anno accoglie oltre quarantamila visitatori, numero superiore agli stessi abitanti di Nuoro, ed è la porta di un grande museo (questa sede, ex albergo compreso, avrà un’area attorno ai mille metri quadri) dove da qualche parte le opere bisognerà pur farle entrare.
Seduto tra il pubblico, poco dopo interviene l’altro progettista, l’architetto Ignazio Caredda. A lui si deve il recupero della sede storica del Man, quella in via Satta, come la conosciamo oggi. Quando Cristiana Collu arrivò a Nuoro, dieci anni fa, era stata appena ristrutturata su progetto di un ingegnere - costo dei lavori attorno al miliardo di lire - ma lei si rifiutò di entrarci perché sembrava più un condominio che un museo. Chiese e ottenne un’ulteriore ristrutturazione e un nuovo progettista, appunto Caredda. Il quale ha ricordato di essere nato, nel 1946, in via Satta, proprio dove oggi sorge la piazza. «Le attività artigianali o commerciali di allora hanno chiuso una dopo l’altra. Nella piazza non vedo più bambini giocare, né vecchi passare il tempo. Non credo che Nivola volesse questo. Il Man è una scommessa per ridarle vita».
A questo punto, sul finire della conferenza a Festarch, si capisce che il pubblico - composto per larga parte da specialisti - ha già metabolizzato il progetto. Facciata compresa.