Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

La Sardegna veste la moda, un secolo di memoria collettiva

Fonte: L'Unione Sarda
19 ottobre 2009

A Cagliari Si è chiusa l'esposizione



Da capo di vestiario a opera d'arte. L'abito sardo non è mai stato solo esigenza del coprire e tradizione da preservare, ma è divenuto fatto di stile, dietro rivisitazioni di pieghe, ricami, geometrie e colori sgargianti dal sapore mediterraneo, un chiasso civile di tinte che viaggiatori come Lawrence avevano apprezzato nelle donne sarde. Nella mostra cagliaritana La Sardegna veste la moda , raccogliere un patrimonio di capi e accessori che avvolge un secolo di memoria collettiva appare più un tributo, che una sfida. L'esposizione organizzata al Palazzo di Città sino al 15 ottobre dalla Sezione Eventi di Carlo Delfino editore, dopo il debutto fiorentino di Palazzo Pitti e prima di proseguire per Roma, Milano e Torino, ha il sapore di un omaggio dal titolo quasi casuale, come un fazzoletto femminile scivolato con garbo. La selezione attinge dalla Fondazione Guiso di Orosei e da collezioni private del capoluogo, mescolando abiti appartenuti ad alcune nobildonne sarde, confezionati in famosi atelier con le creazioni degli stilisti regionali. Un artigianato di ago e filo, imbastito di sapienza antica, emerge dalle stanze dell'ex Municipio senza sventolii di bandiere, ma puntando alla modernità e cedendo alle tentazioni dell'arte e della tradizione. La Sala da ballo dell'ex municipio come prima vetrina dell'esibizione, con una magnificenza di vestiti da sera, corsetti, calzature, copricapi, ma anche gioielli e pani. Sono oggetti custoditi in scatole bianche, nel segno di un'identità riportata a galla, a rivelare contaminazioni e contrasti che Tarquinio Sini aveva colto con tocco leggero nelle sue cartoline alla fine degli anni Venti. L'esibizione arriva ai nostri giorni con realizzazioni di prêt à porter capaci di competere nello scenario internazionale, come quelle di Antonio Marras, direttore artistico di Kenzo. Sono giochi di sottrazione quelli di Angelo Figus e riappare la cultura del costume popolare nella reinterpretazione delle camicie plissettate di Luciano Bonino, o nei neri di Silvio Betterelli, che lavora per Furla e sperimenta con raffia laminata e bustini ricavati da "corbule". La produzione sartoriale isolana si accosta a quella dei grandi nomi da Balenciaga a Watanabe, passando per le gonne e le giacche di Lacroix, le camicie-incanto di Romeo Gigli, i kimono di Maurizio Galante che ricordano la gonna a pieghe ottocentesca. Il costume sardo è così privato della sua fossilizzazione, nella contrapposizione della classe agricolo-pastorale con quella dei "signori", quando nell'Ottocento l'abito tradizionale diventa più borghese. Il secolo successivo si apre al nuovo corso nei disegni e bozzetti firmati da Eugenio Tavolara, nei fiorami di Nino Siglienti per gli scialli o nelle illustrazioni dal tratto delicato di Edina Altara. L'allestimento, curato da Bonizza Giordani Aragno, guida lo spettatore lungo un filo conduttore non lineare. Si rivela una lezione d'arte di un'isola che veste la moda, assecondando un rito di policromie antiche eppure attuali nelle creazioni di alta sartoria, che sa rimodulare tagli e materiali abbattendo confini e volgendo lo sguardo oltremare.
MANUELA VACCA

18/10/2009