Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Palazzoni da demolire? I residenti dicono no

Fonte: L'Unione Sarda
19 agosto 2019

«Ha detto che i palazzoni verranno abbattuti soltanto se i residenti saranno d'accordo? Allora mettiamoci l'anima in pace: quei palazzi resteranno dove sono». È una sintesi efficace quella di don Giacomo Faedda, parroco della chiesa di Sant'Elia. «Non credo proprio che chi vive lì accetti la proposta del sindaco. Per tante ragioni. A cominciare dal fatto che molti sono anziani».
I residenti
Anche quando l'afa di agosto si fa sentire pesantemente nel resto della città, a Sant'Elia si sta un po' meglio: la leggera brezzolina che arriva dal mare rende il clima tollerabile anche nelle giornate più afose. E diventa possibile fare due chiacchiere anche in una panchina all'esterno di uno dei bar nel colonnato di via Schiavazzi. «Sono nato qui, voglio vivere qui», taglia corto Efisio Aramu. Che chiarisce, in campidanese, le sue intenzioni: « Gi mindi andu crasi » («Contaci sul fatto che vado via domani»).
L'attaccamento
Il fatto è che Sant'Elia non è un quartiere come gli altri: c'è un legame fortissimo tra la zona e i suoi abitanti. Di fronte ad Aramu è seduto Fausto Cabras. «L'ideale», sostiene, «sarebbe davvero buttare giù quei palazzoni e ricostruirli. Ma, nel frattempo, dove stanno quelle 275 famiglie che abitano nei palazzoni». Il nodo, alla fine, è proprio questo: Priamo Pani, come si intuisce chiaramente dal nome, è straniero («Sono di Assemini»); è fuori dall'auto in attesa della moglie. «Certo, quegli edifici sarebbero tutti da buttare giù. Ma lì ci abita tanta gente: che fine farà?».
La paura
Monica Piras parla con un amica nei pilotis degli edifici bassi di via Schiavazzi. «Ma i miei genitori abitano proprio nei palazzoni. Dove si sistemeranno, a casa del sindaco?», dice polemicamente mentre il suo cane mostra di non avere particolare simpatia per gli estranei. Molto più amichevole Vittorio Masala, santeliese sino al midollo («Sono nato il 5 giugno 1943 al Lazzaretto dove ci eravamo spostati per i bombardamenti»). Lui sta sistemando le reti da pesca in un garage trasformato in laboratorio. «Io da qui, dove ho la mia barca, la mia casa, non voglio proprio andare via». Anche perché quegli appartamenti, brutti all'esterno, sono, invece, stati trasformati dai residenti. «Questo», interviene Anna Hellies, «è il nostro habitat. Abbiamo fatto tanti sacrifici per migliorare le nostre case, per fare una serie di lavori».
Il sospetto
Inutile nascondersi dietro un dito: la vera paura è che il ventilato trasferimento nei centri dell'hinterland per la demolizione e la ricostruzione, diventi, invece, definitivo. Lo spiega con grande lucidità Morgan De Agostini, gestore del bar Play Cash caffè. «Qualcuno», spiega, «si è reso conto del fatto che questo è un posto bellissimo. Un posto, per intendersi, da cui cacciare via chi viene considerato cittadino di serie B per fare spazio a un quartiere residenziale. Certo, trent'anni fa è stato fatto l'errore di creare qui un ghetto. Ma non si può più rimediare. Anche perché, grazie all'intervento del Comune, è diventato un quartiere vivibile».
Marcello Cocco