Una commovente lectio magistralis Quando a Cagliari ricordò del padre
nella Brigata Sassari
Era un tenente agli ordini del Capitano Lussu, circostanza che rafforzava il legame con l'Isola
Intervistato da Rai1, Filippo Lupo, presidente del Camilleri Fans Club, ha dichiarato che, nel suo mondo, la parola del giorno è “orfani” e ha concluso: «È come se avessimo perso un padre».
Non solo i soci di quel Club, ma la stragrande maggioranza dei lettori, in Italia e in altri Paesi, condivide quel sentimento e prova un dolore autentico: come se avessimo perso un nostro familiare.
Bisogno di comunicare
Andrea Camilleri con i suoi romanzi, con la trasposizione televisiva delle inchieste del commissario Montalbano, con i film tratti dai romanzi storici, con gli interventi televisivi, le presentazioni dei film, le interviste, è stato molto più di un autore di successo. Tutti - gli studiosi di letteratura, i traduttori che portano la difficile lingua camilleriana a incontrare pubblici lontani dall'Italia e dalla Sicilia, gli appassionati lettori -, tutti hanno avvertito che nelle sue pagine c'era, in primo luogo, un esplicito bisogno di comunicare, di condividere storie come avveniva nel mondo antico, quando tra chi narrava e chi ascoltava c'era un legame necessario sul piano umano e vitale in quello artistico.
“Contastorie”, si definiva: e lo era, nell'alto grado di chi sa farsi ascoltare/leggere con un'arte che di giorno in giorno si affina e raggiunge livelli stilisticamente elevati. Ma era anche altro; era un saggio capace di dispensare pensieri necessari per affrontare il presente, senza mai perdere la speranza nell'essere umano. Era una sorta di paradosso: viveva in un tempo di semplificazione e di paure; di chiusure dei porti, dei cuori e delle intelligenze; di folle spaventate che vogliono armarsi per combattere nemici che non sono tali. E non vedono dove sta il vero pericolo. Camilleri, divenuto cieco, vedeva invece con chiarezza, ammoniva e stabiliva le distanze: «Non in nome mio».
Ascoltato con rispetto
Tolti pochi facinorosi, lo ascoltavano tutti con rispetto: come si fa con un Padre del cui insegnamento sappiamo di avere bisogno, anche se talvolta non siamo capaci di applicarlo. Ma la sua voce risuona nella nostra coscienza e trova un'eco, solo in apparenza singolare, in quella del mondo cattolico che, in particolare sulla vicenda dei migranti, esprime lo stesso pensiero del laico Camilleri.
E pensare che all'inizio era letto in quanto scrittore divertente e capace di creare irresistibili situazioni comiche, personaggi che suscitano il riso, senza diventare macchiette ma conservando un'integrale fisionomia umana. Così ha conquistato il suo pubblico, al quale, grado per grado, ha insegnato una lingua, il “vigatese”; e, contemporaneamente, ha insegnato molto altro: anche che l'esistenza può essere drammatica e che tuttavia c'è sempre una speranza.
Era un uomo autentico. A Cagliari (e in tutti i luoghi della Sardegna dove in diverse occasioni era stato: a Sassari, a Sorso, a Nuoro, a Galtellì) lo ha mostrato con una lectio veramente magistrale, quando ha parlato della morte del padre: è un nodo, questo, della perdita del padre; di come sappiamo affrontarla e farci adulti, una volta rimasti soli.
Parlò delle opere letterarie nelle quali il tema era stato affrontato; poi disse di sé al capezzale del padre malato, che riviveva gli episodi della Grande guerra combattuta agli ordini del Capitano Lussu, fino a che gli ingiunse di uscire e di tornare solo dopo aver fumato una sigaretta. «Ubbidii e quando, dopo aver fumato, andai verso la sua camera, sapevo che non l'avrei trovato vivo».
Commozione sul viso
C'è un filmato, che ritrae Camilleri mentre dice queste ultime parole e una lacrima gli riga il volto.
Il pubblico presente nell'aula magna dell'Università rimase senza fiato, come sospeso: capiva che non era una lezione accademica ma un sofferto racconto di vita, che lo scrittore stava comunicando qualcosa di importante per lui e quindi per tutti. Come un atto d'amore per quanti assistevano e per l'intera Sardegna dove era venuto (così ci aveva detto al primo incontro), in nome del padre cui Lussu, in anni lontani, aveva detto di visitare l'Isola. Le circostanze della vita non gli avevano consentito di farlo, e quindi aveva trasmesso il mandato al figlio.
A tutto questo dobbiamo, noi sardi, una lunga amicizia che ci ha scaldato il cuore.
Giuseppe Marci