Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Quei cinesi non sanno parlare cinese

Fonte: L'Unione Sarda
19 agosto 2009

Sono nati nell'Isola e i genitori non vogliono fargli perdere il legame con la loro patria

Alla Marina i bimbi degli immigrati a scuola di madrelingua

Le lezioni si svolgono al mattino, dal martedì al venerdì, in un locale messo a disposizione dalla parrocchia di Sant'Eulalia.
Parlano perfettamente l'italiano, ma non conoscono il cinese. Qualcuno, anzi, inizia ad acquisire un vago accento cagliaritano. Cosa che deve essere sembrata inaccettabile ai loro genitori, notoriamente patriottici e attaccati alle proprie radici. Sono i cinesi di seconda generazione: nati a Cagliari, non sono mai stati nella loro terra d'origine.
Così stanno dimenticando il cinese parlato, ma soprattutto quello scritto (che, come è noto, non è proprio semplicissimo). Perciò i genitori hanno deciso di rimediare, organizzando per i loro figli una vera e propria scuola di lingua.
A LEZIONE «Sono una trentina di bambini e bambine, fra gli 8 e i 15 anni», spiega don Mario Cugusi, parroco di Sant'Eulalia, «le lezioni si svolgono dal martedì al venerdì, dalle 9.30 alle 12. Sono completamente autonomi, e non hanno alcun rapporto con la parrocchia: noi gli abbiamo solo messo a disposizione i locali dell'oratorio».
LA COMUNITÀ Il melting pot del rione Marina è formato prevalentemente da cinesi, pakistani, indiani e senegalesi. Nei vicoli l'odore di pesce arrosto dei ristoranti di via Sardegna si mescola con quello dei kebab e delle spezie orientali. Tra le comunità che popolano il quartiere, quella del Dragone è sicuramente la più misteriosa. Riservata, indipendente, laboriosa: un mondo chiuso e difficile da capire per un occidentale.
LA RICREAZIONE Le urla si sentono già prima di arrivare alla scalinata che porta alla chiesa di Sant'Eulalia. Sono grida di bambini che giocano: come in ogni scuola, a metà mattina c'è la ricreazione.
I piccoli studenti si riversano nel cortile della parrocchia, fra gli oleandri e i colorati murales. Giocano in piedi intorno a un banco, litigano: e il loro gioco con le carte è l'italianissimo “Uno”. Un altro gruppetto cerca di fare canestro in un assolato campo di basket. Poi si accorgono della presenza di un intruso e i loro sguardi sono di curiosità mista alla proverbiale diffidenza. Infine arriva la maestra - che con loro parla solo in cinese - e li rimanda in classe.
LA DOCENTE Ma come nasce l'esigenza di imparare il cinese? L'insegnante sorride, e risponde educatamente: «Lo hanno deciso i genitori. Vogliono che i loro figli non abbiano problemi quando torneranno nella loro terra». Perché è questo il sogno di ogni cinese: il ritorno in patria.
FRANCESCO FUGGETTA

19/08/2009