Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Le struggenti note di Schubert per “La morte e la fanciulla”

Fonte: L'Unione Sarda
29 novembre 2018

Michele Abbondanza: «Davanti alla fine siamo soli, nudi»

 

Stasera al Massimo di Cagliari la rassegna Autunno Danza 

 

Largo ai giovani, certo. Se guidati poi da mani esperte, ancora meglio. Nella pièce “La morte e la fanciulla”, in programma oggi alle 21 al Teatro Massimo di Cagliari per Autunno Danza, c'è l'uno e l'altro: le nuove leve della danza, rappresentate da tre giovani interpreti, e loro, Michele Abbondanza e Antonella Bertoni, ovvero, il sodalizio artistico più riuscito e duraturo del teatro-danza italiano, a cui si devono tanti bei lavori. La celebre coppia di danzatori-coreografi, porta in scena il primo capitolo di un trittico che ha debuttato la passata stagione, affidato a Eleonora Chiocchini, Valentina Dal Mas, Claudia Rossi Valli.
«Erano tanti anni che volevamo cimentarci con una danza balletto, cioè una danza basata sulla musica, anche se nel nostro caso, la parola balletto non viene intesa come danza classica», racconta Abbondanza: «Da “Romanzo d'infanzia” in poi, la nostra storia è stata legata a lavori d'impronta teatrale. Qui, invece, siamo partiti da una musica che avevamo nel cuore da anni, legata al nostro periodo parigino, il Quartetto in re minore di Schubert, che il compositore austriaco scrisse negli ultimi momenti di vita. Su di essa, abbiamo costruito uno spettacolo di danza pura, con un ritorno a un segno astratto, associando a ogni nota, a ogni sospensione, i movimenti di tre fanciulle, fantastiche per tecnica, sintonia, complicità. Ci sono nebbie, colori, sfumature, tagli romantici e rinascimentali. E scene legate alla nudità. Del resto, di fronte alla morte siamo nudi. In qualche modo era metaforico descrivere l'anima in questa maniera. Con l'ausilio di un video, abbiamo rappresentato inoltre quello che nel nostro immaginario era lo sguardo della morte, in questo caso al femminile».
Rispetto al vostro consueto modo di lavorare, questa volta la musica ha influenzato la coreografia…
«La musica di Schubert è così stagliata e precisa, prepotentemente meravigliosa, pur con un coté melanconico. La partitura è stata dominante rispetto alla ricerca drammaturgica. Abbiamo cercato di avvolgere il segno con una narrazione, tenendo conto dello stato d'animo dell'autore e di quello che voleva dire. È come se lo spettatore si trovasse dinnanzi a una musica da vedere, dove il corpo, al di là di ogni senso, rende visibile la composizione, con dei segni quasi stenografici e movimenti secchi».
Il timore della morte ci accompagna, l'idea che poi non possa esserci nulla, ci terrorizza. Però accade anche che il nulla sia qualcosa.
«Il nulla deve essere riempito da qualcosa. Nessuna cosa è importante come una cosa vuota. Il vuoto, l'assenza, rende possibile immaginare una presenza. Fin dai nostri primi lavori, ci siamo sempre posti interrogativi legati alla vita e alla morte, alla metamorfosi. Ci è sembrato che la danza pura, e non il gesto narrativo, potesse descrivere al meglio il racconto della vita che passa e si trasforma, il bagliore meraviglioso e breve dell' esistenza».
Il secondo capitolo ha debuttato quest'anno…
«Siamo passati a un quartetto maschile, ma tenendo un segno molto vicino al lavoro precedente. Qui, però, abbiamo scelto una famosa composizione jazz di Charles Mingus: Pithecanthropus Erectus, del 1956, una delle opere che ha dato il via al free jazz. Una musica più difficile di quella di Schubert, e anche molto più maschile. Il terzo capitolo è già in cantiere, e la musica, molto probabilmente, sarà quella dodecafonica di Schonberg. Forse potremmo anche creare l'incontro tra queste musiche, andando verso un balletto dai parametri più classici».
La danza dei nostri giorni è meno interessante di quella degli anni Ottanta?
«Oggi va molto la danza concettuale, da cui io e Antonella ci sentiamo distanti perché priva di poesia. Quello che ci piace, è dare vita a un flusso di emozioni che avvolga lo spettatore».
Carlo Argiolas