Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

“La paura” in trincea viaggia fra i legni del Teatro Massimo

Fonte: L'Unione Sarda
22 novembre 2018

PROSA. Sabato la replica

 

La paura non è l'emozione che prova un soldato durante un assalto. Quello è ardore, coraggio. Non è neppure il senso dell'attesa, accucciato nella fossa umida di una trincea. Quella è paziente rassegnazione. La paura è l'orrore di fronte a un ordine insensato, che ti manda a morire, e non sai perché. Comandare, e non solo in guerra, vuol dire avere il diritto di dare un ordine, e non ci sono ordini buoni o cattivi, giusti o ingiusti, ma solo il diritto assoluto all'altrui obbedienza.
E anche se il tenente Alfani lo sa, che mandare in quella piazzuola, nel canalone della montagna, uno dopo l'altro i suoi soldati, gli stessi a cui dichiara di essere affezionato, vuol dire donarli alla morte, perché uno dopo l'altro cadranno sotto la mira infallibile del cecchino, un diritto è un diritto e un ordine, un ordine.
“La paura” di Francesco Bonomo, dal testo di Federico De Roberto, è un monologo vibrante che, con la forza delle sole parole (pochissimi gli elementi in scena) e la potente interpretazione di Daniel Dwerryhouse, restituisce tutta l'insensatezza della guerra, ma più ancora della retorica della patria, nel cui nome si legittima ogni ingiustificato sacrificio di vite e affetti. Prodotta da Sardegna Teatro, la pièce in replica sabato al Teatro Massimo di Cagliari (ore 19), narra la Grande Guerra, quell'inferno di sangue, fango e misera umana, che fu il primo conflitto mondiale, dove essere soldati significava, spesso, essere in balia del caso e della sventura. Il tenente Alfani è un uomo coscienzioso, sa che avere potere di vita e di morte sui suoi uomini è innanzitutto avere la responsabilità di tenere in gran conto la loro vita. Epperò quella piazzuola, a una cinquantina di metri dalla trincea, non può rimanere scoperta, e uno dopo l'altro chiama chi è in turno a far da vedetta. E quelli, uno dopo l'altro, cadono sotto le pallottole precise del nemico, che è lì, e non c'è verso di stanarlo. Umbri, abruzzesi, toscani, laziali: in quel luogo sperduto, dove il bianco immacolato della neve anziché il candore della bellezza, evoca la porta di ghiaccio dell'inferno, solo il colorito accento dei dialetti riscalda quella fredda desolazione, e rammenta ai soldati che sono ancora esseri umani, sotto la divisa.
A morire ci vanno tutti, persino quel piccoletto di Lussu, che certo non a caso porta quel cognome, e ognuno saluta come può chi lascia: il fratello, la moglie, l'amico, che tanto lo sanno che quella piazzuola sarà la loro tomba. Solo uno si rifiuta, dice proprio no al tenente, e lui non se ne capacita. Un rifiuto che non salverà la vita al soldato, però gli darà senso. E al signor tenente non rimarrà che invocare il sonno, perdere definitivamente coscienza di sé.
Franca Rita Porcu