Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Il bip di una mail, il clic di un messaggio: ecco “Overload”, il nostro pensiero interrotto

Fonte: L'Unione Sarda
14 novembre 2018

L'autore Daniele Villa racconta lo spettacolo del Massimo di Cagliari

 

 

La scena si apre con un attore che personifica uno scrittore celebre. Inizia a parlare, ben presto però, è interrotto. Riprende, ma di nuovo è costretto a smettere. Un po' come succede quando iniziamo a leggere un libro, ma poi squilla il telefono. Siamo impegnati a guardare un film alla televisione, ma poi giunge la notifica di una nuova mail. L'attenzione procede a singhiozzo, e anche i pensieri del nostro cervello diventano intermittenti. Siamo nell'era del digitale. Una distrazione dopo l'altra e si disimpara a pensare.
“Overload”, spettacolo ideato e prodotto dal collettivo Sotterraneo (Daniele Villa, Claudio Cerri e Sara Bonaventura), che cura anche la regia, lo racconta con l'ironia e la levità della riflessione intelligente. In scena ieri e replica domani (ore 21) a Cagliari, al Teatro Massimo, con Sara Bonaventura, Claudio Cirri, Lorenza Guerrini, Daniele Pennati, Giulio Santolini, lo spettacolo è scritto da Daniele Villa.
Che cos'è “Overload”?
«È una creazione originale, una riflessione su come le nuove tecnologie stanno modificando i meccanismi mentali delle persone: la soglia di attenzione, la capacità di pensare, la trasmissione del sapere. Come l'invenzione del libro e della stampa hanno cambiato la civiltà, così il digitale sta cambiando la nostra era».
C'è un messaggio?
«No, è solo un'analisi problematica. Non ci piace la parola messaggio, preferiamo porci un problema da condividere con il pubblico, poi ognuno interpreta la questione proposta in modo personale».
In che maniera il pubblico interagisce con lo spettacolo?
«Noi abbiamo l'ossessione di interagire con il pubblico, lo facciamo in quasi tutti i nostri lavori perché il pubblico è una ricchezza: in sala ci sono un centinaio di potenziali attori da coinvolgere a vari livelli. In “Overload” decidono loro se e quando interrompere il discorso dello scrittore sul palco».
L'ironia è un aspetto saliente dei vostri lavori. Lo è anche in “Overload”?
«L'ironia è il nostro modo di guardare e di stare al mondo. È uno strumento per ribaltare la realtà, rivelarne le contraddizioni, senza cadere nel dramma. Il riso, in origine, è un digrignare i denti, una simulazione di battaglia. Per noi, l'ironia è un corpo a corpo con il nostro tempo, uno strumento intelligente e feroce per leggere la realtà».
Qual è il vostro modello di teatro?
«Il nostro è un teatro che pur essendo di ricerca, quindi con l'allure della “cosa ostica”, in realtà è molto comunicativo. Siamo trasversali, per cui c'è una superficie accessibile e vari livelli di profondità. Ciò che ci nutre è il teatro, ma anche le arti visive, il cinema, i fumetti, i video game e la cultura pop in generale. Tutti i modi di comunicare cultura».
Qual è la specificità del teatro rispetto agli altri linguaggi artistici?
«Il teatro è una comunità millenaria: duemila anni di storia gli conferiscono una potenza che poche altre arti possiedono. Inoltre, al contrario di altre forme espressive mediate da uno schermo, il teatro è spettacolo dal vivo con persone in carne e ossa, crea una comunità temporanea, c'è qualcosa che accade solo in quel momento e questo ha una potenza che va coltivata. Diceva Roland Barthes, un grande appassionato di teatro, che nella società contemporanea sono rimaste pochissime esperienze non mediate: lo stadio e il teatro. Lo stadio ha un elemento di tribalità, mentre il teatro è ancora un momento di spiritualità laica e profonda».
Porre un problema vuol dire mobilitare una coscienza critica, in questo modo il teatro avrebbe il potere di incidere nella vita delle persone. Ci riesce?
«No, non ci riesce. Il teatro ha un potere trasformativo verso le persone che lo fanno tant'è che non è un lavoro, ma una forma di vita. Ha un potere trasformativo anche verso chi lo pratica in forma amatoriale. Tuttavia, rimane uno dei pochi luoghi in cui si continua a problematizzare i temi della realtà. Il fatto che il teatro sia fuori dal mercato fa sì che non tenti di compiacere il pubblico e di avere un'efficacia commerciale. Al contrario del cinema o della televisione, anziché distrarre, il teatro crea un problema allo spettatore, gli rompe le scatole, lo costringe a pensare».
Franca Rita Porcu