Rassegna Stampa

La Nuova Sardegna

Quattro giudizi sul caso Tuvixeddu

Fonte: La Nuova Sardegna
7 aprile 2008

Cagliari

Fra Procura e Consiglio di Stato Ma la Sovrintendenza dov’è?



Se i vincoli venissero annullati resterebbero le inchieste penali



CAGLIARI. Il caso Tuvixeddu è diventato ormai un problema della magistratura: i giudizi pendenti sulle vicende legate al colle dei punici sono quattro, divisi fra giustizia penale e amministrativa. Il più atteso è quello del 30 maggio, quando il Consiglio di Stato dovrà esprimersi sul ricorso presentato dall’amministrazione regionale, dal ministero dei Beni culturali, da Italia Nostra e dal Wwf contro la sentenza del Tar Sardegna che ha bocciato i vincoli imposti in base al Codice Urbani dalla giunta Soru. Grazie a un accordo di moratoria raggiunto il 27 marzo dalle parti su proposta di Coimpresa, sino alla sentenza definitiva le tre imprese impegnate sull’area attorno alla necropoli non potranno muovere un mattone. Se i giudici amministrativi di secondo grado dovessero dare ancora una volta torto alla Regione le betoniere potrebbero ricominciare a girare, sempre che la Procura della Repubblica lo consenta. Perchè l’inchiesta penale partita un mese fa e entrata l’altro ieri nel vivo con la notifica di due avvisi di garanzia - al capo dell’urbanistica Paolo Zoccheddu e al dirigente Giancarlo Manis - potrebbe pesare sul futuro dell’area archeologica. C’è un’ipotesi di sequestro cautelativo che riguarda il parco pubblico, dove il Comune ha avviato i lavori commettendo - secondo il rapporto della Forestale - un grosso abuso: muraglioni larghi quattro metri al posto delle sottili fioriere previste nel progetto esecutivo. Come dire che l’eventuale via libera dei giudici di Roma, richiesto dalla strana coppia Comune di Cagliari-imprenditori privati con grande spiegamento di legali, potrebbe non significare l’immediata ripresa dei lavori per il parco. Una realtà scomoda, che ha fatto perdere le staffe persino a un uomo pacato come il sindaco Emilio Floris: appresa la notizia dell’indagine che coinvolge i due dirigenti comunali se l’è presa con la Regione, cui fa riferimento il Corpo Forestale: la accusa di slealtà. In realtà i ranger lavorano per la Procura ed è stato il pm Daniele Caria nel 2007 a chiedere all’ufficiale Fabrizio Madeddu di ispezionare i lavori in corso sul colle per verificare eventuali irregolarità. Con ogni probabilità Soru e i suoi collaboratori non ne sapevano nulla o l’hanno saputo quando l’ispezione è diventata un fatto pubblico. Quindi se gli abusi ci sono - sembrerebbe di sì, considerata l’accusa di violazione delle norme ambientali e le immagini inequivocabili - la colpa non può essere addebitata alla Regione ma semmai all’amministrazione comunale, che non ha vigilato su un cantiere così sensibile e sotto stretto controllo. D’altronde nell’assenza totale e forse anche colpevole della Sovrintendenza ai Beni archeologici - che avrebbe dovuto segnalare alla Procura gli abusi ma non l’ha fatto - i magistrati di piazza Repubblica restano il riferimento essenziale per chi vuole difendere il colle dall’assalto del cemento. La terza inchiesta, già conclusa con l’emissione del decreto penale di condanna, riguarda i lavori dell’impresa Cocco Raimondo, in viale Sant’Avendrace, impegnata nella costruzione di un palazzo a ridosso delle tombe. Il responsabile dell’impresa, per la Procura, è colpevole di aver ignorato l’ordinanza della Regione che in attesa di approvare i nuovi vincoli imponeva lo stop al cantiere. Se poi il Tar ha tolto i vincoli poco importa: l’ordinanza andava rispettata comunque. Poi c’è l’inchiesta nata sull’esposto del gruppo Cualbu, elaborato dall’avvocato Agostinangelo Marras. Questa vicenda, seguita sempre dal pm Caria, è tecnicamente la più complessa: legata anche ai sospetti espressi dal Tar nella sentenza sui vincoli, l’indagine contro ignoti abbraccia l’insieme delle scelte fatte dall’amministrazione regionale su Tuvixeddu e le ragioni che hanno spinto Soru e il suo staff a muoversi contro Coimpresa malgrado un accordo di programma firmato con tutti i crismi nell’agosto del 2000. Gli interrogativi cui dare risposte non mancano, dal progetto alternativo affidato all’architetto francese Gilles Clement e finanziato dalla Fondazione Banco di Sardegna fino alla nomina del direttore generale della direzione generale all’assessorato dei beni culturali - questo ramo dell’inchiesta è nelle mani del pm Emanuele Secci - che potrebbe essere collegata al contributo concesso dall’istituto bancario. I giudici del Tar hanno espresso l’ipotesi che l’amministrazione Soru puntasse decisamente a smantellare il piano Coimpresa per realizzarne un altro, quello di Clement. E che pur di raggiungere l’obbiettivo si sarebbero forzate le norme. (m.l)