Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Lina Sastri, storia di donne

Fonte: L'Unione Sarda
17 luglio 2009


Un'appassionata confessione in scena al Lazzaretto di Cagliari

Ma quanto è bella Lina Sastri? Giganteggia sul palco, vestita di bianco leggero e ampio, occupa ogni angolo della scena come un'aquila ad ali spiegate e invece è uno scricciolo, delicato e dolce, quasi impaurito quando i riflettori di spengono. Al Lazzaretto di Cagliari per La Casa di Ninetta , regia di Emanuela Giordano, racconto scritto per sé e poi per caso pubblicato da Marsilio e per caso rappresentato, l'attrice-cantante-autrice torna alla “Notte dei poeti” in una serata bagnata come fosse piovuto, infestata («Ma quante zanzare ce stanno 'cca?» dice scrollandosele di dosso) e da altri fastidi. «È accaduto di tutto», si lamenta: tra qualcuno che urla “più voce” dal fondo della platea e una luce spot che non la segue, tra un microfono che fa le bizze (per una sedia piazzata sopra un cavo) e il rumore alto dei jet e le voci di una partitella giocata in notturna. “È nervosa”, dicono, ma non si vede, non sul palco e neppure dopo.
Un testo biografico, forte e intenso, un monologo che è dialogo con la madre che appare nelle parole e nel canto acuto di una registrazione: Maruzzella, I' te vurria vasa, Torna a Surriento . Sedie pieghevoli in legno che fingono una stanza e sei ospiti mute. Donne, perché La Casa di Ninetta è una storia di donne, madri, spose, amanti e figlie. Una sorta di gineceo in cui gli uomini sono o passivi (l'amatissimo figlio maschio di Ninetta) o crudelmente attivi (il marito assente, carnefice, traditore e padre padrone). Su tutte la figura di Ninetta, cui “tutte le donne della casa le davano il voi, così, naturalmente”, coraggiosa e forte, libera nella costrizione, leggera nella sofferenza, sola nella vecchiaia e nella malattia che umilia corpo e mente.
È una confessione, una seduta psicanalitica, un omaggio escatologico e catartico, quasi una preghiera. C'è senso di colpa, e rimorso e rammarico, nelle parole di Lina l'attrice nei confronti di Nina (Annina) la madre. Per l'ultimo sorriso non visto, per l'assenza d'amore che fa più male degli aghi e dei tubi sul corpo, per le cose non dette o non dette abbastanza, per non aver capito del tutto l'indifferenza, la solitudine, il senso di inutilità, la coscienza dell'abbandono che ferisce e fa ammalare. “Mi amavi, lo so, ma forse non ti piacevo perché amavi di più il figlio maschio”, ma basta a placare i dubbi? Ecco allora l'amarcord di case sul mare ad Agropoli, le visite a Roma alla figlia attrice (“Fai l'artista e vuoi essere felice?” le diceva), i quartieri spagnoli con le donne di vita, via degli Zingari, il giorno di festa per il ritorno a casa del marito attentatore (“con in tavola la tovaglia buona”) e i giorni tristi che seguivano (“quelli da dover nascondere i coltelli”) in una sorta di evocazione/purificazione/trasfigurazione. “Senza l'arte sarei diventata pazza o puttana”, dice Lina. Grazie all'arte è diventata Ninetta: l'omaggio più bello che poteva farle ed il regalo più liberatorio che poteva farsi. Ma quanto è bella Ninetta?
GIUSEPPE CADEDDU

17/07/2009