Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Marina Cafè Noir

Fonte: L'Unione Sarda
21 giugno 2018

 

Cagliari: stasera l'incontro con la giornalista e scrittrice svedese Elisabeth Åsbrink: «Perché non impariamo dalla Storia» 

 

 

È tra le ospiti più attese di Marina Cafè Noir, è la scrittrice e giornalista svedese Elisabeth Åsbrink, che stasera alle 19, in piazza San Domenico a Cagliari, introdotta dal giornalista Celestino Tabasso, affronterà il tema “Dove comincia il presente”, incentrato su “1947”. Il suo best seller internazionale edito in Italia da Iperborea non si limita a raccontare con stile chiaro e coinvolgente, in rigoroso ordine cronologico, gli avvenimenti della grande Storia (il processo di Norimberga, l'indipendenza dell'India), affiancati dalle pietre miliari del costume (il New look inventato da Christian Dior), ma getta una luce sul passato più oscuro e personale dell'autrice, che durante la Seconda guerra mondiale perse il nonno paterno, ucciso in quanto ebreo dai nazifascisti.
Come è arrivata a forgiare la struttura di “1947”?
«All'inizio doveva essere una biografia. Mentre mi documentavo su alcuni eventi accaduti nel 1947 ho scoperto quanto fosse cruciale quell'anno per il futuro dell'Europa e del mondo. Ho usato prima di tutto le armi del giornalista: i fatti, ben verificati. Dopodiché la forma estesa del libro mi ha permesso di replicare il modo in cui noi percepiamo la realtà: attraverso frammenti, separati da lacune che fanno parte anch'esse del racconto storico. Ho selezionato i fatti in ordine di svolgimento, senza l'epica che è propria delle storie di fiction, ma cercando di alzare il livello della scrittura. I fatti non sono la verità, ma sono accaduti davvero».
Nella narrazione si innesta anche la sua vicenda personale.
«Nel 1947 la parola genocidio non era ancora stata introdotta, ma l'Olocausto riguarda anche la storia della mia famiglia. Allora mio padre era un bambino ungherese di dieci anni che giaceva in un campo per chi aveva perso i genitori durante la guerra (suo padre, mio nonno, fu ucciso perché ebreo). Non potevo tacerne. Tutta l'Europa era attraversata da ebrei sopravvissuti che cercavano di raggiungere la Palestina, non più sotto il controllo inglese. È l'inizio della questione palestinese che ancora insanguina quei territori».
Fu anche un anno di scoperte e invenzioni, non sempre positive.
«Basta pensare al Kalashnikov, il famigerato AK-47, che diventerà il fucile d'assalto più venduto al mondo. Ma fu anche l'anno in cui la matematica Grace Murray Hopper poneva le basi per la programmazione informatica; veniva introdotta sul mercato la prima polaroid e si preparava la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo. Era un tempo che sapeva guardare al futuro, ben più di adesso».
Apriamo una finestra sulla Svezia di oggi.
«Bisogna fin da subito sfatare un mito, quello dell'Open Country, la superpotenza umanitaria, la nazione modello pronto a includere esuli da tutto il mondo. È vero, la mentalità è molto aperta, la corruzione politica è bassa, le mamme lasciano i bambini sul passeggino al parco mentre vanno a fare la spesa; ma quando si tratta di fronteggiare sul serio l'impatto delle grandi migrazioni, be', anche il modello svedese si mostra scricchiolante».
Impareremo mai dalla Storia a non commettere gli stessi errori?
«Non credo. Ci saranno sempre dei nuovi sbagli da poter commettere, ma non saranno gli stessi. Oggi si parla molto di un ritorno degli anni Trenta del XX secolo, in riferimento all'ascesa di movimenti neofascisti e populisti, ma se non cambieremo prospettiva ci troveremo ad adottare soluzioni inadatte per nuovi mali. La storia va studiata, non ripetuta. La storia è una mappa, dobbiamo imparare a trovare le coordinate giuste per orientarci».
L'ultima curisità: quando ha deciso di diventare una giornalista?
«A 11 anni ho realizzato il mio primo giornale, non fu uno sforzo da poco. Mi ha sempre interessato molto il tempo che ci circonda. Scrivere ti permette di investigare una porzione di realtà. Da giornalista sei legata a un formato e alla stretta attualità, per questo ho deciso di diventare una scrittrice di non fiction narrativa».
Luca Mirarchi