Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

“Dieci piccoli indiani” Perché siamo tutti colpevoli

Fonte: L'Unione Sarda
7 marzo 2018

 

 

I l giudice, l'insegnante, il capitano, il generale, il medico, lo scapolo, la zitella, il poliziotto, il maggiordomo, la cuoca, l'invisibile proprietario di Nigger Island. Ovvero il luogo che riunisce un drappello di malcapitati ospiti che non si conoscono tra loro. “Dieci piccoli indiani... e non rimase nessuno” è il titolo proposto dalla Cedac al Teatro Massimo di Cagliari, da oggi a domenica, con la regia di Ricard Reguant.
Nella celeberrima opera di Agatha Christie tradotta da Edoardo Erba, Ivana Monti è la rigida signorina Emily Caroline Brent.
Signora Monti, chi è questa donna che muore in poltrona?
«Ho voluto mettere del mio, nel carattere di questa borghese ricca e inflessibile che è l'espressione dell'educazione vittoriana. Recita di continuo i versetti della Bibbia e lavora a maglia. Mi è sembrato che ciò potesse risultare ridicolo, dato che ha causato il suicidio della sua governante, rea di avere concepito un figlio fuori dal matrimonio. Mi sono venute in mente tutte le ragazze che sono state scacciate e punite per il reato d'amore».
Ha cambiato il testo, per raccontarne le sofferenze?
«Neanche una parola, ma caratterizzo Emily come una persona ferocemente passionale che si lascia andare a terribili invettive. “Finirai sotto i ponti”. Mi sono informata e sono venuta a sapere che nella grande emigrazione verso l'America i primi a partire sono stati i figli di NN e d'altronde recentemente in Irlanda sono stati recuperati numerosi resti di bambini figli della colpa».
Il libro è stato pubblicato nel 1939 ed è ancora vendutissimo. Di cosa è merito tale longevità?
«La società è ancora ingiusta nei confronti delle donne. Ho incontrato sulla metropolitana delle spettatrici che mi hanno detto delle sofferenze di tante giovani, ancora oggi. L'umanità fa cose atroci».
Lei, amatissima attrice che ha debuttato con Giorgio Strehler e vanta un curriculum imponente, non si sottrae alla fatica delle tournée.
«Abbiamo avuto i ragazzi delle scuole medie a teatro e “Dieci piccoli indiani” è letto nelle scuole. Il pubblico è entusiasta e ci ripaga dei nostri sforzi. Con me ci sono i colleghi del Piccolo, ritrovati dopo tanti anni, e valentissimi attori giovani: un cast di altissima qualità. Il regista è stato molto bravo a tradurre sul palco la complessa struttura della trama. L'atmosfera è quella degli anni Quaranta, con la sua eleganza deco e i nostri abiti da sera. Ma il nucleo della vicenda è drammatico: tutti sono colpevoli e la loro punizione è preceduta dai sospetti, dalle accuse e dalle confessioni. L'impianto è rapportabile alla tragedia greca e al suo concetto di nemesi».
E a qualche film di Bunuel.
«In qualche modo sì. C'è la stessa tensione e lo smascheramento della gente per bene, delle convenzioni, delle convenienze».
Le piacciono i gialli?
«Non mi interessano. Preferisco la saggistica, i volumi di storia. Ora sto leggendo Freud».
Alessandra Menesini