Piccola città
Claudio Cugusi
Le promesse ce le ricordiamo. Anche quelle solenni, nelle settimane dopo la tragedia e pure durante la campagna elettorale delle scorse regionali. Risuonavano a Capoterra come a Poggio dei Pini queste promesse ma l'eco arrivava fino a Pirri, al Fangario. Parole che dicevano «non vi lasceremo soli» pronunciate da tutti, anche da autorevoli cariche della nostra sessantennale Autonomia. È passato quasi un anno ormai dalla tragica alluvione del 22 ottobre, a tutto imputabile tranne che alla divina provvidenza. Ancora le famiglie attendono gli indennizzi. Nel frattempo si sono indebitate per ripartire e pagano gli interessi aspettando che dalla Regione, dai Comuni qualcuno di buona volontà firmi gli assegni e glieli dia. Non c'entra la destra e nemmeno la sinistra, stavolta: non è questione di parti politiche ma una delle tante ragioni che impediscono alla politica, tutta, di essere considerata seria dagli elettori. Una delle tante ragioni che provocano il qualunquismo, che lasciano aperta la porta al primo demagogo di turno. Basta promettere al momento giusto, quando c'è una catastrofe appena consumata. Se poi le promesse non vengono mantenute, beh, è sempre colpa di qualcun altro. Oppure si fa finta di non sentire e il giochino è pronto per la prossima catastrofe. Su questa storia e sui drammi collettivi dell'alluvione un artista sardo, Gianvittorio Vacca, ci ha messo su una mostra che inizia a Pirri proprio venerdì. Si intitola “Alluvionati”. Come i suoi quadri mangiati dall'acqua ed esposti a futura memoria.
*Giornalista