L'appuntamento Attesa per l'esecuzione dell'artista che questa sera al Lirico eseguirà il “Clavicembalo ben temperato” di Bach. A due anni dal trionfale concerto, un nuovo seducente recital dello scienziato della classica
Di gente che suona da dio, in giro per il mondo, ce n'è. Metti la Argherich per esempio, o le sorelle Labèque. Gente che nella vita fa solo quello: concerti e tournè. Sfumature, ricami, magie. Esci da teatro e pensi: ragazzi, che emozione. Poi, una sera, ti capita di ascoltare Maurizio Pollini. Non ondate di sonorità emotive. E neppure scintille di poesia sonore. Al contrario. Ghiaccio freddo. Un laser che fende la musica. Pura scienza insomma. Maurizio Pollini è quella roba lì. Sterilizzato e ascetico. Perfetto. Nessun sbandamento emotivo. Neppure quando suona Chopin e in migliaia vanno a comprare il suo disco. Roba che succede solo agli artisti pop. E ai dischi rock. Beh, è successo anche lui. Ha inciso i “Notturni” ed è finito dritto dritto tra i Cd più venduti della musica pop: disco d'oro. Un record straordinario. Scientifico, appunto.
QUESTA SERA, sui nobili legni del Lirico, il “chirurgo della classica” torna dopo due anni dal trionfale concerto cagliaritano. A lui l'onore di chiudere il festival di S. Efisio con una serata fuori abbonamento (posti ancora disponibili) che promette una sbornia di pura e semplice potenza. Il virtuoso che a cinque anni già studiava gli allegri mozartiani, che senza Fabbrini, il suo accordatore perso-nale non suona, che la mattina presto si scalda le dita con Ravel mentre i milanesi incantati sotto la sua finestra si fermano a frotte, per questo concerto cagliaritano ha scelto Bach e una partitura tra le più accecanti “Il clavicembalo ben temperato, libro 1”. Come ebbe a scrivere lo stesso compositore nel cuore del Settecento “un pezzo ad uso della gioventù studiosa musicale, a particolare ricreazione di coloro che in questo studio sono già versati”. A suonare il Clavicembalo di Bach ci si sono mes-si, tra gli altri, anche Keith Jarret e Glenn Gould. Il primo gli ha dato un taglio jazz ed è approdato alla Scala. Il secondo è stato spedito nello spazio dalla Nasa: se per pura fortuna gli extraterrestri incroceranno la navicella che contiene quella musica penseranno: “Però questi umani...”. Scientifici, appunto. Stasera, come sempre, Pollini entrerà in scena di fretta: ore 20.30, in sala una liturgica attesa. Quando lui attacca, lo fa di scatto. Come a liberarsi di un pensiero. Seduto, immobile davanti alla cascata di tasti, il chirurgo inizia a incidere il silenzio. Non sposta una virgola, non chiede la complicità del pubblico. Affonda e carica. Ogni nota una pietra. Come scrisse Alessandro Baricco in una gran bella recensione di qualche anno fa “Nella sua musica tutto esplode, nulla va in pezzi”. Scienza dei sentimenti, appunto. Fabio Fazio, in occasione di un'intervista in televisione gli chiese a cosa pensa mentre suona. Già: a cosa si pensa dietro a una tastiera per sessanta anni? Solo a immaginarlo fa sentire vagamente disumani. Lui no, lui è molto più scientifico: «Cosa penso? Mi concentro. Le emozioni sono di rimando. Studio per tutta la vita un pezzo, poi in sala è difficile pensare a qualcosa d'altro. In quei momenti difendo tutto il mio lavoro. Insomma, una gran bella fatica, per questo faccio pochi concerti». Silenzio.