Rassegna Stampa

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Referendum, Muledda a Soddu: “Non c’è tempo per proteste, bisogna votare no”

Fonte: web sardiniapost.it
21 ottobre 2016

Referendum, Muledda a Soddu: “Non c’è tempo per proteste, bisogna votare no”

Gesuino Muledda lo dice in premessa: “La proposta di voto avanzata da Pietrino Soddu per il referendum del 4 dicembre ha il suo fascino (l’ex presidente della Regione ha invitato a riflettere sulla possibilità di scrivere Sardegna sulla scheda). Ma nessuno se ne accorgerebbe. Perché un secondo dopo la fine dello spoglio, si dirà se ha vinto il Sì o il No. E io voglio far vincere il No perché, in caso contrario, la specialità statutaria della nostra Isola ne sarebbe travolta”. Con questa intervista a Muledda, presidente dei RossoMori, prosegue su Sardinia Post lo spazio dedicato al referendum costituzionale che in Sardegna ha un quadro preciso: col premier Matteo Renzi sono schierati solo Pd e Cd. Tutti gli altri partiti si oppongono alla revisione della Carta. In più c’è il Comitato del So, gli indecisi, che raccoglie un pezzetto di Sel.

Presidente Muledda, mancano quarantacinque giorni al voto del 4 dicembre. C’è la possibilità che scriviate ‘Sardegna’ sulla scheda del referendum?

Noi RossoMori abbiamo costituito il comitato #BallaCaNo, con Possibile, Psd’Az, movimenti sovranisti, associazioni e cittadini. Noi stiamo lavorando per la vittoria del No, perché se dovesse passare questa riforma, la Sardegna ne verrebbe travolta.

Il presidente Soddu è proprio in difesa della Sardegna che ha lanciato l’invito alla riflessione su una terza via.

La proposta di Pietrino Soddu non è che non abbia il suo fascino. Ma in questa partita il primo rischio è che la Sardegna perda i propri poteri di autogoverno. Sul cui esercizio, nel tempo, abbiamo fatto tantissimi errori. Tuttavia, in caso di vittoria del Sì, verrebbe inghiottita la stessa questione sarda che Soddu vuole difendere. Ecco perché ci dobbiamo concentrare sul No, ribadisco, senza soluzioni alternative.

È per questo che, dopo anni di muro contro muro, sul referendum avete stretto alleanza col Psd’Az, dal quale siete nati in segno di rottura?

Io provengo da una tradizione importante sotto questo punto di vista e quando sono in gioco interessi vitali, si chiama a raccolta la cultura e la politica democratica. I resistenti. Ovvero coloro che sono interessati allo Statuto della Sardegna e alla sua riscrittura, perché vengano rafforzati i poteri di autogoverno fino all’indipendenza. È mia convinzione che in questa direzione si possa intraprendere un nuovo viaggio comune tra autonomisti, sovranisti, federalisti e indipendentisti.

A scorrere la lista di chi componente il comitato #BallaCaNo, lo sforzo dell’inclusione e del dialogo sembra mancare: non c’è il Partito dei Sardi.

Il fondatore del PdS nonché il suo presidente, Paolo Maninchedda, proprio l’altro giorno ha scritto sul proprio blog che loro non sono interessati né alla prima né alla seconda Costituzione. Che dialogo ci può essere?

Maninchedda, l’altro giorno, ha ufficializzato il No del partito al referendum, affermando la non accettazione del nuovo articolo 117, sulla supremazia dello Stato rispetto alle Regioni.

Il No di Maninchedda lo si evince per deduzione, ma non è stato esplicito. Il nostro comitato, tuttavia, ha preso forma in estate, quando dal PdS non è trapelata alcuna posizione in merito al referendum. Sino all’altro giorno appunto. Occasione in cui Maninchedda ha chiarito pure di non volersi associare a nessuno. Ma qualcosa dovrà spiegarla.

Cosa?

Il PdS è rimasto a guardare sino a quando non ha visto montare un movimento di opposizione alla riforma. Il mondo di Maninchedda non rappresenta la nostra prospettiva. Lui coltiva il partito della nazione sarda e lo fa giusto quando Renzi vuole costruire l’equivalente italiano.

Nel caso in cui vinca il No, al presidente Pigliaru avete già dato un avviso di sfratto per il tramite del vostro segretario regionale, Marco Pau.

Il segretario dei RossoMori ha evidenziato un fatto: il governatore ha giurato sullo Statuto e poi si è schierato apertamente sulla nuova Costituzione che travolge la specialità regionale. Io avrei usato toni meno forti e meno partecipativi.

Pau avrà pure evidenziato un fatto ma a Pigliaru ha apertamente chiesto le dimissioni, se vincerà il No. Dopo il 4 dicembre in Sardegna sarà crisi di governo, se del caso?

Io non so nemmeno se questa maggioranza arrivi al 4 dicembre così com’è. Credo ci siano tensioni sufficienti per dividerla.

Su cosa?

Sulla sovranità e non solo. I RossoMori trovano inaccettabile pure la posizione dell’assessore regionale alle Riforme, Gianmario Demuro, che sostiene la nuova Costituzione e al quale non sembra importare della sopravvivenza dell’istituto autonomistico. Va così dal decreto Sblocca Italia che assegna a Roma il potere di decidere su inceneritori ed espropriabilità delle terre agricole da destinare agli impianti fotovoltaici e termodinamici. Idem sul numero di autorità portuali. Il neocentralismo è amplificato dalla revisione della Carta attraverso la clausola di supremazia, un criterio rafforzato che mette gli interessi dello Stato davanti a quelli delle Regioni. In Sardegna a scapito del principio di sovranità.

Non dice nulla sul presidente del Consiglio, Gianfranco Ganau, ugualmente schierato sul Sì?

Per il capo di un’assemblea il discorso è diverso: rappresenta l’intero Consiglio, nel quale ci sono sia posizioni favorevoli che contrarie al referendum.

I RossoMori minacciano di nuovo l’uscita dalla maggioranza?

Noi non minacciamo nulla. Ma nemmeno ci tiriamo indietro dal far valere le ragioni della Sardegna. E oltre a difendere il principio di sovranità, c’è da tutelare il lavoro. Vero che in Italia si perdono ugualmente buste paga. Ma nella nostra Isola si parte da una situazione già drammatica e si sta rischiando di arrivare a una tragedia antropologica, specie per numero di disoccupati tra i giovani e le donne. Per questo i RossoMori hanno chiesto un piano strategico per il lavoro, non un affastellamento di opere pubbliche che, tra le altre cose, avrebbero pure l’effetto di rilanciare il lavoro. Crescita e sviluppo si producono con politiche mirate. Si aggiunga il degrado delle zone interne, una vertenza aperta da quindici anni.

Soddu, quindi, ha ragione: esiste una questione sarda da rilanciare. Perché snobbate la sua proposta di scrivere ‘Sardegna” sulla scheda del referendum?

Non si sta snobbando Soddu. Noi non lo snobbiamo. Semplicemente intravediamo un rischio di disperdere voti.

Quelli del movimento Sardegna Possibile di Michela Murgia li avete recuperati?

Al netto della legge elettorale, contestata dai RossoMori in tempi non sospetti perché voluta per facilitare uno schema bipartitico, in Sardegna Possibile hanno commesso svariati errori. Intanto sulle liste che, infatti, si sono rivelate deboli e non hanno superato lo sbarramento. Ma più di tutto il movimento ha pagato il rifiuto alla contaminazione che, invece, è l’essenza del sardismo.

Quale contaminazione?

A ProgRes, la costola politica di Sardegna Possibile, i RossoMori avevano proposto di fare liste unitarie. L’invito venne respinto. Ma la legge elettorale sarda non è il tema del referendum. Adesso l’obiettivo è far crescere la mobilitazione, perché solo la difesa della sovranità può portare la nostra Isola a diventare una regione dell’Europa, nell’Europa dei popoli. Di certo, il futuro politico della Sardegna non è il bipartitismo ma uno schema a quattro. E oltre a centrodestra e centrosinistra ci sarà il Movimento Cinque Stelle e uno sovranista, simile a Sardegna Possibile.

I RossoMori lo stanno costruendo?

Noi ora siamo nel centrosinistra. E la coalizione dovrebbe valutare l’esistenza di questa possibilità perché nel campo progressista c’è uno spazio vuoto. E chi si ritiene di autosufficiente coi propri voti, sbaglia.

Per tornare sul referendum: se dovesse vincere il Sì, la Sardegna cosa rischia?

Aumento delle servitù militari; trasferimento nell’Isola delle scorie nucleari; utilizzo dei terreni agricoli per speculazioni, come sta sta succedendo a Villasor e a Giave. Si perderebbero funzioni anche in materia urbanistica, quindi sullo stretto governo del territorio. La sottrazione dei poteri in senso centralista, come nella nuova Costituzione, è lesiva dei diritti del popolo sardo.

Il senatore Luciano Uras ha esaminato in Parlamento, per un anno, la riforma Renzi-Boschi: è mancato in Aula il 13 ottobre 2015 per il voto finale, ma nelle diverse discussioni si è sempre espresso con un No. Adesso è indeciso sul referendum e ha fondato il comitato del So.

Chi è in mezzo al mare dovrebbe sapere che pesci pigliare. Altrimenti mangia scatolette.

Uras cosa mangerà?

Il senatore intanto sta andando contro il suo stesso partito e i consiglieri regionali che hanno aderito al comitato #BallaCaNo. Insieme al sindaco Massimo Zedda, stranamente silente, è in difficoltà. Uras, forse, è confuso sul suo futuro politico. Lo spieghi all’opinione pubblica adesso.  Io la mia opinione sul So l’ho detta.

Renzi ha spostato voti col viaggio a Washington?

Col viaggio no, ma qualcosa sì attraverso la Finanziaria-buffo. Il populismo di Renzi è sconcertante: vuole eliminare Equitalia dopo che è stato il suo Governo ha imporre direttive più severe nell’applicazione di sanzioni, more e aggio. Ma l’evasione fiscale resta lì, indisturbata: 100 miliardi di euro, che equivalgono a tre manovre. Fanno sorridere pure tutti quei messaggi sul possibile diluvio, se il Sì non dovesse vincere. Io per la nostra Isola spero in un inverno di piogge serene e in una rotonda vittoria del No. Peraltro: proprio da noi sarebbe bello se si tornasse indietro di trent’anni. Nell’86 il presidente della Regione era Mario Melis: nessuno, meglio di lui, ha mai rappresentato gli interessi dei sardi.

Al netto della nostalgia, come finirà il 4 dicembre?

I voti della della Sardegna e di tutte le regioni a Statuto speciale contribuiranno alla vittoria del No.

Alessandra Carta