Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Unioni civili senza le fanfare

Fonte: L'Unione Sarda
12 settembre 2016

MATRIMONI OMOSESSUALI.

Gli attivisti: «La legge c'è, ora si deve cambiare la mentalità»

Riservatezza degli sposi nei tre riti già celebrati in Municipio

Anni di proteste e cortei per far estendere alle coppie omosessuali lo stesso diritto di quelle eterosessuali: metter su famiglia, cioè sposarsi. Obiettivo centrato in parte, considerato che le unioni civili hanno diritti limitati rispetto ai matrimoni a partire dalle adozioni, ma qualcosa cambia. Ci si aspettavano le fanfare, per le prime nozze: finora tre, in città, compresa quella di ieri mattina in Municipio. Invece, l'assoluta riservatezza ha circondato le celebrazioni: così hanno voluto gli sposi omosessuali, talvolta accompagnati solo dai testimoni.
RITROSIA Si conquista un diritto e poi ci si vergogna di goderne? Detta così è forse troppo violenta, ma la realtà non sembra diversissima. In un caso gli sposi gay volevano la stampa, pregata subito dopo di non farsi vedere al rito a causa dell'opposizione dei genitori. Se la situazione è questa, significa che i movimenti omosessuali hanno certamente convinto parte della società a riconoscere che l'amore tra persone dello stesso sesso vale quanto quello uomo/donna, ma è anche vero che le resistenze della società condizionano gli omosessuali.
IL SINDACALISTA «Premesso che l'unione civile con il mio compagno sarà molto pubblica», premette subito Sandro Gallittu, 55 anni, responsabile dell'ufficio “Nuovi diritti” della Cgil regionale, «non mi stupisce la ritrosia degli sposi omosessuali. Leggi e tendenze sociali», aggiunge, «si rincorrono a vicenda, ma non vanno di pari passo». Secondo Gallittu, la legge Cirinnà «è giunta con grave ritardo in una società omofoba e ipercattolica: per quanto riguarda la parte sociale della questione, è ancora quasi tutto da fare. E capisco, pur non condividendo, se chi fa un'unione civile senta il bisogno di riservatezza».
GLI ATTIVISTI DI ARC Il fatto è che l'omosessualità è sempre stata vista «come una vergogna, e questa visione è sedimentata per decenni». Così Silvia Falqui, 38 anni, impiegata in un servizio clienti, portavoce dell'Arc (l'associazione che organizza il Pride e le iniziative legate), spiega la ritrosia degli “sposi” gay. «Il Pride muove trenta associazioni e tante persone», aggiunge, «ma i militanti che lo organizzano sono un manipolo. Però, non si cambia la società se non si è sempre se stessi, dopo che gli omosessuali sono stati costretti a vivere nell'ombra». Dunque, «la legge Cirinnà ha aperto un varco, ma può essere soltanto la base di una rivoluzione culturale che stiamo costruendo. Quando la mia compagna era ricoverata in ospedale, non mi hanno lasciata entrare: un'ingiustizia ora sanata. Poi, molti altri diritti devono essere ancora conquistati». È portavoce di Arc anche Carlo Cotza, 40 anni, assistente sociale: «Io mi sposerei davanti a parenti e amici, ma capisco che per molte persone il percorso sia graduale: si riconoscono i diritti, poi lentamente la società si trasforma e in parte è già accaduto. Non possiamo pretendere che tutti si rivelino, né che siano subito disinvolti, anche se i gay più pubblici sono e meno problemi hanno. Per spiegarlo, sono andato anche in tv». Le unioni civili sono una novità, quindi attirano anche l'informazione, ma tra un anno saranno routine. Esattamente come il riconoscimento dei diritti.
Luigi Almiento