Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Un'opera al rosso e al nero

Fonte: L'Unione Sarda
23 aprile 2009

Festival di Sant'Efisio. Ieri sera al Lirico di Cagliari ha debuttato il primo titolo in cartellone

“Semën Kotko”, dramma, ironia, dinamismo

Sulla benda rossa che copre gli occhi della gigantesca testa di gesso, sui drappi che inondano il finale di Semën Kotko di Sergej Prokofiev, che ieri ha aperto al Teatro Lirico di Cagliari la stagione operistica e insieme il IX Festival di Sant'Efisio, il regista ha fatto incidere due lettere: una E e una C. Arduo chiedersi che cosa significhino, essendo Yuri Aleksandrov russo e noi del tutto sprovveduti. Ebbene, non significano niente, e quindi significano molto: raccontano la vanagloria di un premier che dovrebbe essere Mao Tse Tung (ma somiglia a Mussolini e a tanti altri), raccontano la stupidità della dittatura, il non senso di troppe parole. Una beffa che sembra estranea a un'opera così drammatica e invece non lo è. Oltre il dramma raccontato nel libretto di Kataev-Prokofiev, oltre la musica, c'è una lettura ai limiti del grottesco. Dopo averci regalato, prendendo in prestito Ciakovskij, la favola di Cerevicki , Gli Stivaletti , Aleksandrov sceglie per questo lavoro messo in scena in coproduzione col Teatro Marinkij di San Pietroburgo una cifra diversa, imperniata sull'ironia e sulla supremazia dell'estetica. A dargli una mano decisiva è la visione cinematografica di Prokofiev. L'autore delle colonne sonore di Ivan Il Terribile e di Aleksander Nievskij , il complice dei due capolavori di Eizenstejn, sa bene che cosa significhi fare musica per il cinema. E utilizza la sua esperienza per Semën Kotko . A raccontarcelo nel saggio del programma di sala (in copertina un bellissimo Malevich), è Gianluigi Mattietti, che ci ricorda come per ottenere la massima concisione e differenziazione tra gli episodi, Prokofiev abbia concepito una struttura di 48 brevi scene, raggruppate in sette quadri e cinque atti. Un montaggio simile a quello di un film, dove il pathos dell'azione viene sottolineato da una musica incalzante e carica di tensione.
Non è un'opera facile Semën Kotko , per i cantanti, (su tutti Mikhail Gubski, nel ruolo del titolo e Tatiana Pavlovskaia, Sofia; per l'orchestra e il coro diretti da Aleksander Vedernikov (maestro del coro, così importante in questa opera, Fulvio Fogliazza); per un pubblico che ha dimostrato di capire - nonostante più d'una perplessità dopo il primo atto - il valore delle proposte talvolta ostiche delle inaugurazioni di stagione. Non è facile, quest'opera, ma è un bel concentrato di dinamismo. Un inno a Marinetti (gli spari, il cuculo, il gallo) un pugno nello stomaco che arriva a metà serata, dopo il primo intervallo, regalando agli spettatori un'emozione dietro l'altra. Alleggerito dall'ironia di Aleksandrov, guidato dal suo interesse per il futurismo, essenza stessa della velocità e del movimento, Prokofiev concentra in tre ore di azione (intervalli compresi) il Bene e il Male, la vita e la morte, la saggezza e la follia, l'ingenuità del villaggio ucraino e l'orrore della guerra.
Sembra tutto ben chiaro, e netto, e lucido, in questo mondo privo di dubbi. Dove i cattivi sono da una parte e i buoni dall'altra. Ma tutti, buoni e cattivi, sono sospesi su un piano inclinato, lungo il quale si muovono, in una scenografia estremamente suggestiva e inquietante, azioni ed emozioni. Ed è questa scelta stilistica del regista a sottolineare la drammaticità della musica. Sviatoslav Richter, allora giovane pianista, definì la prima di Semen Kotko (giugno 1940) «un importantissimo evento della mia vita». Per il teatro lirico, e per il pubblico cagliaritano, più modestamente, è una nuova sfida. Un'opera forte, piena di contrasti, che in Italia è stata rappresentata una sola volta nel 1973, alla Scala, ma che nella versione integrale viene proposta soltanto ora a Cagliari.
Ieri la prima era dedicata alla tragedia dell'Abruzzo: il teatro ha devoluto l'intero incasso, i lavoratori hanno trasformato una protesta annunciata in una giornata lavorativa devoluta alla rinascita del Teatro Comunale dell'Aquila. «Dove c'è solidarietà l'arte non trema», hanno scritto in un volantino. Nulla di più vero. Se non fosse per quel piano sghembo che ci toglie certezze, donandoci destabilizzanti architetture d'angoscia.
MARIA PAOLA MASALA

23/04/2009