Nell'area espositiva edifici degradati e nessuna traccia di manutenzioni recenti
Per capire quanto sta accadendo alla Fiera campionaria basterebbe solamente sapere che la concessione demaniale per l'area espositiva di Su Siccu è scaduta da quattro anni. Cioè, in tutto questo tempo i cancelli avrebbero dovuto essere chiusi. Aprirli, dunque, è stato un abuso. Pare che la procedura per il rinnovo sia stata avviata, certo non tempestivamente, altrimenti non si sarebbe arrivati a questa situazione paradossale ma, a tutt'oggi, non risultano deroghe che consentano di organizzare manifestazioni come la rassegna annuale aperta il 23 aprile scorso e chiusa giusto l'altro ieri.
Dietro il degrado evidente del grande spazio fieristico di viale Diaz c'è un po' di tutto e di più. Dal ferro ossidato che spunta dai gradini dell'ex Padiglione dell'agricoltura, l'edificio progettato da Ubaldo Badas, alla gradinata coperta dall'edera nello stesso immobile, il cui piano terra è inaccessibile e il primo livello aperto a metà, e solo per ospitare la postazione dei vigili del fuoco. Passando per le insegne che vento, pioggia e sole hanno privato delle parole. Nel palazzotto che fu dell'Ente autonomo del Flumendosa (lo si intuisce dal fantasma della scritta originaria), abbandonato dal secolo scorso, la decadenza è lampante.
Mancanza di risorse, sciatteria o chissà cos'altro, sta di fatto che la voce manutenzioni, ordinarie o straordinarie che fossero, è scomparsa dai capitoli di bilancio da qualche decennio e i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Al padiglione “C”, un esempio, nella facciata mancano due lastre della vecchia ondulina che la ricopriva e al suo interno una parte è stata trasformata in rifugio per piccioni e topi - l'altra è una sorta di magazzino assimilabile a una discarica, ché di roba da riutilizzare ce n'è ben poca.
E poi fili elettrici svolazzanti un po' ovunque, moquette impresentabile, dov'è rimasta, assenza pressoché totale di impianti di climatizzazione negli edifici che ospitano gli stand e, soprattutto, mancanza di servizi igienici che possano definirsi tali. Proprio questi ultimi sono una nota dolente da un pezzo e le continue lamentele degli espositori non hanno mai prodotto alcuna reazione. Vedere la cabina prefabbricata, segnalata dall'insegna WC, con le tende da drogheria di mezzo secolo fa, ha un effetto deprimente.
È anche vero che qualche sussulto di dignità, da parte della Camera di commercio, c'è stata. Per tutte, il concorso di idee per riqualificare l'immobile nato come sede della Cassa per il Mezzogiorno (da anni è chiuso perché in condizioni meno che pietose) progettato da Adalberto Libera, architetto razionalista (a lui si devono, tra le altre cose, il Palazzo dei Congressi dell'Eur a Roma, e la villa di Curzio Malaparte a Capri). Parteciparono diversi studi ma, alla fine, non se ne fece niente. Difficile che accada qualcosa in un futuro più o meno vicino. Ed è inutile che il l'edificio di Libera sia tutelato dalla Soprintendenza. A che serve?
Vito Fiori