Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

«Il dolore è diventato rabbia»

Fonte: L'Unione Sarda
6 aprile 2016

Ieri incontro al Comune di Cagliari per ricordare la tragedia nel porto di Livorno

 

Dalle immagini dopo lo schianto alla beffa delle inchieste 

 

Alla fine Luchino Chessa è commosso. Poco prima, nella sala del Consiglio comunale, sono arrivate anche le lacrime di chi non ha morti da ricordare. È vero, come dice il figlio del comandante della Moby Prince, che «questo Paese perde la memoria storica». Vero che i giovani poco sanno della tragedia di 25 anni fa. Altrettanto vero che i familiari delle vittime non perdono la determinazione. Perché ormai «il dolore è diventato rabbia». E «se non saremo noi a trovare la verità, la cercheranno i nostri figli». Promessa «molto sarda», sottolinea Silvio Lai, presidente della commissione d'inchiesta del Senato.
La rabbia è di tutti, in questo affollato incontro di commemorazione a Cagliari. Che vale come racconto, riassunto, di ciò che accadde quella notte, di ciò che risultò nei processi, di ciò che è stato nascosto o trascurato. E di quanto ci si attende dalla commissione del Senato, che in qualche modo ha scosso il muro della politica. Sono importanti le parole di Silvio Lai. Queste, in particolare: «In tre mesi di lavoro non sono poche le persone che si sono fatte avanti volontariamente». E che «magari non sono state ascoltate allora». La commissione ha fatto un sopralluogo e ha capito che «Livorno sente molto forte la responsabilità di soccorsi così inefficienti», quelli che il 10 aprile, subito dopo la collisione, neppure arrivarono. Ha capito che «molte testimonianze non sono state prese in considerazione» e che «ci sono tante strade inesplorate». Nel mucchio di domande, una è più pressante: «Nessun membro dell'equipaggio si salvò», eppure, per mestiere e per perizia, sarebbe stato logico, «stavano forse soccorrendo i passeggeri?». Sono morti per questo? Di sicuro c'è un aspetto morale che travolge tutto il resto. E anche Lai ha una promessa: si spera che la verità non resti un'illusione, ma se necessario «chiederemo al governo di fare ciò che deve fare». C'è un caso Reggeni come c'è un caso Moby Prince.
Parlano il sindaco di Cagliari, Massimo Zedda, e il consigliere comunale Andrea Scano. Parlano gli altri due commissari sardi, i senatori Emilio Floris e Luciano Uras. E l'assessore regionale Cristiano Erriu, a nome della Giunta. Scorrono soprattutto le immagini del documentario “Buonasera, Moby Prince” di Paolo Mastino. «Siamo stati presi in giro per 25 anni», dice al giornalista il fratello di una vittima. Fa male sentire le richieste di aiuto dal traghetto e dall'Agip Abruzzo: «Siamo incendiati». E fa più male sapere che un allarme è stato raccolto e l'altro no. Impressiona constatare che il comandante del porto non impartisce ordini e alla radio qualcuno fischietta. E ancora di più intuire che a bordo qualcuno si è rifugiato nel garage e ha atteso a lungo i soccorsi, a due miglia dal porto, in una zona piena di navi. Poi c'è sempre la rabbia: «Errore umano? Davvero difficile all'uscita di un porto», dice Angelo Chessa, l'altro figlio del comandante. Un “porto delle nebbie”, secondo la versione di comodo. Con la stranezza che la nebbia non c'era.
Roberto Cossu