Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

I granatieri di Sardegna, una storia lunga 350 anni

Fonte: L'Unione Sarda
6 aprile 2009




Quando si parla di militari e Sardegna il discorso cade inevitabilmente sulla Brigata Sassari, l'unico corpo dell'Esercito formato su base regionale. Alla storia della "Sassari" l'isola è legata da un rapporto di affetto e di sangue perché nel cimitero di ogni paese c'è sepolto più di un sassarino. Oppure un'epigrafe ricorda il "diavolo rosso" disperso in qualche campo di battaglia della Prima o della Seconda guerra. Ma c'è un altro corpo dell'Esercito meno popolare e pubblicizzato della gloriosa Sassari, ugualmente legato alla storia dell'isola. Addirittura ne porta il nome. Sono i granatieri di Sardegna che il 18 aprile compiranno i 350 anni di vita. Un'unità scelta che ha percorso tutte le vicende del regno sardo prima e della repubblica poi, combattendo su tutti i fronti: dalle guerre d'Indipendenza ai due conflitti mondiali, per essere impiegati nelle missioni di pace dagli anni Novanta ad oggi. L'immagine dei granatieri è quella di soldati dal fisico imponente (devono essere alti almeno un metro e 90), per il loro aspetto sempre in prima fila nelle sfilate e nelle manifestazioni. Ma non sono uomini da parata. In realtà appartengono a un corpo speciale nato tre secoli e mezzo fa per affrontare le missioni più pericolose. Nel corso del tempo ha conservato questa sua prerogativa distinguendosi nelle battaglie più sanguinose. Un corpo a metà tra gli arditi e i guastatori, tanto che dopo gli assalti tornavano decimati nelle retrovie. Il loro valore lo testimoniano le numerose medaglie conferite alle bandiere del reggimento e le 37 medaglie individuali.
I granatieri discendono dal reggimento delle Guardie istituito a Torino il 18 aprile 1659 da Emanuele duca di Savoia e re di Cipro. In questo reggimento furono inquadrati soldati di alta statura specializzati nel lancio delle granate (palle di ferro imbottite di polvere da sparo) che venivano utilizzate come le più recenti bombe a mano.
IL NOME L'appellativo granatieri venne assegnato da re Vittorio Amedeo II, figlio di Emanuele, che volle potenziare la capacità di fuoco delle sue guardie inserendo in ogni compagnia sei uomini particolarmente alti e coraggiosi, incaricati di andare all'assalto con le granate. Nell'Ottocento si distingue nelle guerre d'Indipendenza. Il 30 maggio 1848 a Goito l'intervento del reggimento granatieri è decisivo nelle sorti della battaglia attaccando frontalmente e mettendo in fuga gli austriaci del maresciallo Radetzky: l'urlo di battaglia «a me le guardie» lanciato dal comandante, il Duca di Savoia, galvanizzò gli uomini e da allora è rimasto come il motto del corpo.
L'ALBERO DELLA CRIMEA «Nel 1855 due battaglioni presero parte alla guerra di Crimea, combattendo al fianco degli alleati franco inglesi contro l'esercito dello zar», dice Giorgio Pellegrini, docente dell'università di Cagliari e appassionato cultore di storia militare: «Il ricordo di quella spedizione è visibile ancora oggi in città: si tratta del gigantesco albero secolare, un Prosopis, che si trova ingabbiato dentro un'impalcatura di sostegno nella piazzetta alle spalle del Parco delle Rimembranze, in via San Lucifero. Venne portato qui dai reduci della Crimea. Un secondo albero, in via Garibaldi, fu abbattuto qualche anno fa».
IL SIMBOLO Nel 1852 il reggimento, unito a quello dei Cacciatori, dà vita alla Brigata granatieri di Sardegna. Il distintivo, che tuttora portano cucito sulla divisa, è composto da una croce rossa in campo bianco con quattro teste di moro bendate ai lati: rappresenta l'antica bandiera di combattimento del popolo sardo, con sovrapposta al centro la granata d'oro del loro corpo. «Le origini di questa bandiera - riprende Giorgio Pellegrini, egli stesso ex granatiere - si ricollegano alle vicende storiche dell'isola e ricorda le quattro più importanti vittorie riportate dal popolo sardo sugli arabi invasori, rispettivamente a Sanluri (anno 728), Sulcis (809), Torres (813) e Campo Bianco (849). In questi paesi i sardi ricacciarono in mare i saraceni che provenivano dall'Africa e dalla Spagna e celebrarono la vittoria tagliando la testa agli emiri (i quattro mori)». Perché le quattro teste di moro sono bendate? Non si ha una risposta certa, ma la tradizione vuole che gli emiri venissero bendati prima della decapitazione. «Quel vessillo - aggiunge Pellegrini - sventolò su Cagliari, sulle fortezze e sulle navi di Sardegna sino al 1848 quando per volere del popolo, fu sostituito col tricolore». Nel 1949, data della ricostituzione dopo la seconda guerra mondiale, il ministero della Difesa stabilì di adottare quell'antico simbolo con una granata d'oro al centro come scudetto distintivo della rinata divisione granatieri di Sardegna.
DECIMATI «Che non sia un corpo da parata, ma composto da uomini di valore lo documentano i diari delle due guerre mondiali», sottolinea Rodolfo Mori Ubaldini, presidente regionale dell'associazione d'arma: «Nel 1915-18 furono decimati nelle battaglie fra Monfalcone e Sabotino, Oslavia, Monte Cengio e Monte San Michele. Utilizzati come incursori e arditi venivano lanciati all'assalto delle trincee nemiche per aprire i varchi con le loro bombe e con l'attacco alla baionetta. Uomini coraggiosi, tra cui moltissimi sardi. E morirono in tanti, non meno dei sassarini, anche se meno popolari e per questo meno ricordati dalle cronache».
CONTRO I NAZISTI Nella seconda guerra mondiale i granatieri furono uno dei due corpi dell'esercito italiano, all'indomani dell'armistizio dell'8 settembre, a prendere le armi contro i tedeschi schierandosi in difesa di Roma capitale. L'altro fu la divisione Aqui, massacrata dai nazisti nell'isola di Cefalonia. Oggi i granatieri si sono adeguati alle esigenze tattiche del nuovo modello di difesa, dispiegati come Brigata meccanizzata a supporto delle missioni di pace. A bordo di autoblindo e cingolati sono in grado di muoversi agilmente su ogni terreno e di intervenire in tutti i teatri di guerra.
CARLO FIGARI

06/04/2009