Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

I sensi di colpa dello scrittore

Fonte: L'Unione Sarda
8 marzo 2016

Però, mi dice a fine cena la compagna di un mio collega, però tu mi sembri abbastanza tranquillo, rispetto al fatto di scrivere o non scrivere. Sorrido, sorpreso e felice. Mi sembra bellissimo, averle dato questa impressione. Delle volte, nella vita, ci riescono degli inganni che nemmeno abbiamo pensato di compiere. Quanto sarebbe bello, che fosse vero. Non è vero, amica mia. Sto male, tutti i giorni, da quando mi sveglio a quando vado a dormire, mentre passeggio in via Manno e quando entro in libreria, quando leggo il giornale al Poetto e mentre guardo il porto da Castello. No, non è il tuo compagno ad avere questa disfunzione: è la malattia professionale, è la maledizione di tutti, quelli che vendono un milione di copie come quelli che ancora non sono stati pubblicati. E anzi questi ultimi assai spesso soprattutto si ingannano, pensando sia dovuto a ciò, il loro andare per il mondo con la testa sempre altrove, il loro camminare per strada un po' ondeggianti, il loro ragionare pieno di dubbi e insicurezze; pensano che tutto passerà con la pubblicazione, e dopo saranno finalmente degli uomini sicuri di sé e sempre presenti, e invece no, proprio no. Avranno, come li hanno tutti gli scrittori del mondo, i dubbi feroci a rovinar loro la digestione; il dubbio di non aver niente da dire, o di aver già scritto quel poco di decente che potevano scrivere; di non aver vissuto abbastanza, dopotutto, o di aver vissuto troppo per saper dare ancora entusiasmo e vita ai personaggi di carta; e il senso di colpa, avranno, tremendo, lacerante; perché ogni volta che vai al parco con il babbalotti stai togliendo due ore al tuo lavoro, ogni volta che vai alle poste e fai la fila, sei un traditore della cosiddetta ispirazione, maledetta essa sia se mai davvero ci fosse; il senso di colpa perché Stephen King scrive dieci ore al giorno e tu quaranta minuti, perché quel giovane collega di successo dichiara di finire ogni romanzo in tre settimane e tu non hai mai scritto più di tre pagine al giorno. No, amica mia, non è il tuo compagno ad esser strano e a cercare come scusa la scrittura; è che ha deciso di scrivere, anni fa, perché sapeva di non esser normale, e non è che da questo tragga certezza del suo esser migliore, tutt'altro: ha solo la testa altrove, sempre, fino all'ultima pagina. Abbi pazienza, se puoi, e costringilo a scriver filastrocche per il bambino: almeno a qualcosa sarà servita, questo esser così storto, e disattento.