Rassegna Stampa

web Ad Maiora Media

La triste e drammatica pagina delle Foibe riguarda anche la Sardegna

Fonte: web Ad Maiora Media
11 febbraio 2016


 

Tra il 1943 ed il 1945, oltre 10.000, donne, uomini, vecchi e bambini, furono barbaramente uccisi e gettati, spesso vivi, nelle cavità dell'altopiano carsico, chiamate foibe, vittime di una pianificata pulizia etnica, operata dalle truppe comuniste slave di Tito, che mirava all'annientamento della presenza italiana in quelle terre. Erano semplici cittadini, militari, impiegati, maestri elementari, minatori con la sola unica colpa di essere italiani. Spesso torturati, picchiati e violentati, poi legati l’un l’altro col fil di ferro ed il primo veniva spinto nella foiba, trascinandosi tutti gli altri. Prima che i partigiani slavi gettassero nella cavità bombe a mano per essere certi della loro morte. Tra gli infoibati anche 140 sardi, in parte minatori del Sulcis, trasferiti da Carbonia ai pozzi in Istria, ma anche militari, soprattutto finanzieri e carabinieri, in servizio nel confine orientale. Nel 1947, l'operazione fu completata costringendo 350.000 Italiani di Istria, Fiume e Dalmazia ad abbandonare la propria casa ed i propri beni, vigliaccamente accolti ed insultati da qualche connazionale che non riteneva accettabile che potessero scappare da un ‘paradiso comunista’.

Per decenni questi fatti sono stati banditi dalle pagine dei libri, soprattutto quelli scolastici, dalle colonne dei giornali, dalle trasmissioni televisive. La politica aveva la memoria corta, soprattutto la fazione contigua agli assassini per affinità ideologica, in nome dell’amicizia e del buon vicinato con la Jugoslavia del comunista Tito. Gli storici, devoti alla carriera, si autocensuravano, consapevoli che la storia la scrivono i vincitori. Mentre, la minoranza che provava a ricordare quegli eventi veniva zittita con l'accusa di fascismo, dimenticando che, tra gli infoibati e gli esuli, i fascisti erano una sparuta minoranza. Per decenni, al cospetto di un crimine ascrivibile ai comunisti, la parola d’ordine era negare. Oggi, fatta eccezione per i trinariciuti nostalgici degli scontri di piazza, i più tenaci sono passati sul fronte del giustificazionismo alla ricerca di alibi e pretesti per i carnefici.

Finora, il cammino verso l'affermazione della verità storica è stato difficile. Molto è stato fatto, ma, se esistono ancora Amministrazioni locali che negano la partecipazione alle commemorazioni, professori che non ottemperano alla circolare ministeriale che invita a "ricordare la tragedia delle Foibe", raduni accompagnati da volantini che riportano frasi come "ma quali martiri, sono i soliti schifosi fascisti", o scritte murali come “I love foibe”, fatte dai soliti noti, c’è ancora molto da fare. L'Italia è ancora in debito verso quei suoi figli, vittime per decenni di un silenzio assordante. Il ricordo di quelle tragedie non deve restare un fatto privato dei familiari, deve diventare patrimonio comune della Nazione, con l'obbligo per le Istituzioni di commemorarle, affinché la memoria sia finalmente ritrovata. “Io non scordo”, recita uno slogan dei manifesti commemorativi ed ognuno si senta impegnato a non scordare, anche partecipando alla cerimonie per il Giorno del Ricordo.

Fabio Meloni

(admaioramedia.it)