Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Haber, un Freud ormai anziano e pieno di dubbi

Fonte: L'Unione Sarda
4 gennaio 2016

Teatro Dal 6 gennaio in scena a Cagliari


 

 

S ul palco del Teatro Massimo di Cagliari, per la stagione della Grande Prosa firmata Cedac, ci salirono insieme già nel 2012. Allora, era un maggio già caldo, Alessandro Haber e Alessio Boni (insieme a Gigio Alberti), portarono in scena “Art”, scritto nel 1994 dalla drammaturga francese Yasmina Reza. A distanza di tre anni, il 6 gennaio, sempre per il Cedac, torneranno insieme sul palco di via De Magistris con “Il Visitatore” (1993) del belga Eric-Emmanuel Schmitt. Pièce teatrale in cartellone nel capoluogo fino a domenica 10 gennaio. (Poi sarà la volta di Sassari).
Haber, bolognese, quarantacinque anni di teatro alle spalle, un numero infinito di film per il cinema e all'attivo quattro Nastri d'Argento, si ritrova alle prese nientemeno che con la figura di Sigmund Freud che dialogherà, quasi come fosse un duello, con un non-identificato forestiero (interpretato da Boni) nei cui panni alberga forse Dio in persona, con traduzione, adattamento e messinscena firmate da Valerio Binasco.
«Siamo felici di tornare in questa splendida isola con questo testo» sottolinea Haber. «C'è da premettere che di solito dopo due anni un attore si stanca di interpretare lo stesso personaggio. Nel caso de “Il Visitatore” abbiamo deciso di regalare ancora una cosa bella al pubblico». Un dialogo serrato appassionato, dove le domande riguardano il senso della vita, ma anche il male, con un linguaggio a tratti anche ironico e divertente che scava in fondo alle debolezze umane. «Non conosco profondamente Freud, ma so certamente che credeva nell'uomo e non in Dio». Un Freud alla fine della vita, vecchio e malato, che in una Vienna occupata dai nazisti nel 1938, attende con ansia le notizie della figlia Anna portata via da un ufficiale della Gestapo. «È un uomo dalla grande forza e sensibilità che arrivato a quella età, davanti allo smarrimento e al grande mistero della vita, probabilmente come tutti gli esseri umani, fa suo il dubbio. Il sospetto che egli ha sempre insinuato negli altri, colpisce le convinzioni della sua stessa vita». Uno psicoanalista che si porta dietro molteplici domande. «Credo che il mistero della morte sia per noi il vero fascino della vita. Se noi sapessimo fin da ora tutto, forse sarebbe più noioso. Costruiamo, lavoriamo, piangiamo ma poi tutto questo finisce in un vuoto, in qualcosa che non ha una radice».
Uno spettacolo che lascia il pubblico con delle riflessioni, dei pensieri: «Un testo che piacerebbe sicuramente a Papa Francesco, un uomo fuori dal comune» assicura l'attore bolognese, da sempre alle prese con ruoli impegnati. Tra i tanti quelli che gli hanno cucito addosso il cliché del personaggio nevrotico. «I miei soggetti si assomigliano tutti, forse perché hanno un'anima: quella che ci metto io. Interpreto i ruoli in modo inconsapevole, con grande generosità, ci metto tutti i miei colori, i miei umori, le mie sfaccettature dentro. Io non so dove è il diaframma, non mi interessa, ho un approccio animale. Quando ho interpretato Bettino Craxi, sua figlia Stefania mi ha pianto sulla spalla per come l'ho evocato, per la gestualità e la vocalità, pur essendo fisicamente così lontani. La bellezza sta anche in questo, nel saper essere generosi non dimenticando mai il pubblico».
Simona Arthemalle