Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Sigmund Freud, c'è un uomo alla tua porta

Fonte: L'Unione Sarda
28 dicembre 2015

Teatro “Il visitatore” di Éric-Emmanuel Schmitt


 

 

N on credo in Dio perché tutto in me è disposto a credere! Non credo in Dio perché vorrei crederci! Non credo in Dio perché sarei troppo contento di crederci!

«Da molto tempo», ci dice il regista Valerio Binasco, «la drammaturgia contemporanea ci ha abituati a pensare che le parole non servono più a niente». Che l'umanità è immersa in un buio silenzioso e che nessun dialogo è più capace di dire veramente qualcosa. «Per strano che possa sembrare, il teatro per lungo tempo si è fatto portavoce di quel silenzio e lo ha trasformato in poesia, grazie a grandi commedie classificate dell'incomunicabilità. Autori come Schmitt, invece, sono andati fieramente in tutt'altra direzione. Hanno continuato coraggiosamente a testimoniare una cieca fiducia nelle parole e una specie di devozione per l'umana dote del dialogo».
E allora ecco “Il visitatore”, atto unico di diciassette scene, scritto da Éric-Emmanuel Schmitt in francese nel 1993 - e poi tradotto in quindici lingue, e poi rappresentato in venticinque Paesi. A Cagliari arriva per la prima volta proprio nella versione di Valerio Binasco, il 6 gennaio al Massimo, nel cartellone Cedac, con Alessandro Haber e Alessio Boni, ancora insieme e strepitosi.
C'è Sigmund Freud, e c'è un visitatore, è misterioso, compare all'improvviso. Aprile, 1938; l'Austria annessa alla Germania del Reich; Vienna occupata dalle truppe della Gestapo; Freud è torturato da un tumore alla gola.
Ancora Binasco: «Freud è vecchio, stanco, malato. È un uomo che si scopre disperato dopo aver lottato tutta la vita contro la disperazione degli altri uomini». Il visitatore, a questo punto. «È un pazzo che dice di essere Dio? O è Dio che gioca a sembrare un pazzo? Oppure il mondo è in mano a un Dio che non è niente di più e niente di meno di un povero pazzo?».
Domande, domande. «Potreste pensare, a questo punto, che l'autore ci abbia regalato uno dei tanti inutili e tediosi drammi filosofici; ma non è così. Ci ha regalato invece una commedia brillante, che con eleganza conduce spesso al sorriso; che offre spunti di pensiero e di commozione con sorprendente leggerezza». La casa di Freud è una casa qualsiasi, ci spiega il regista, assediata dal buio e dalla follia del mondo. «Quasi quasi, sembra casa nostra. Tutto si svolge in una triste notte di tanti anni fa, ma potrebbe essere, quasi quasi, anche stanotte».
E in questa notte, che forse è ancora nostra, «niente è come sembra: i canti nazisti a volte sembrano quasi belli, Dio sembra un matto qualunque e perfino Sigmund Freud sembra disperatamente ingenuo, come ciascuno di noi».
“Il Visitatore” è una di quelle commedia per attori, ma solo se gli attori «sono capaci di sprofondare totalmente nell'umanità fragile dei loro personaggi e capaci di evitare le insidie della retorica». Alessandro Haber e Alessio Boni lo sono.
Non credo in Dio perché sarei troppo contento di crederci! , e noi?, il pubblico?, noi ce ne andiamo via con tante domande, «domande vertiginose che questa commedia pone e che sono da lasciare tutte, umilmente, senza risposta». Tranne una, forse. «Una risposta importante, a ben vedere, c'è, ed è questa: “Sì”». Ma la domanda, beh, la domanda, «dovrete farvela da soli».
Francesca Figus