Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

La storia della Sardegna raccontata dalle sue fontane

Fonte: L'Unione Sarda
3 dicembre 2015

Università Un convegno e una mostra al Ghetto di Cagliari sulle architetture dell'acqua 

N on è sontuosa come la fontana Grixoni di Ozieri, costruita nel XIX secolo in omaggio a don Giuseppe Grixoni; neppure unica come quella del Rosello a Sassari, la cui originalissima forma è rintracciabile forse in uno stipo, armadio a più cassetti, realizzato in onore del duca Filippo II di Pomerania. Eppure la piccola, povera fontana seicentesca in pietra di Orgosolo racconta molto di più di quanto non dica il suo semplice aspetto. Così come la cuba medievale di Ortacesus o l'affascinante lavatoio di Banari. Tutte opere, dai pozzi agli abbeveratoi, che insieme disegnano la mappa delle architetture dell'acqua in Sardegna, e raccontano di un territorio apparentemente povero di risorse idriche, costellato invece di luoghi di sorgente che insieme ai corsi d'acqua formano un ricco reticolo idrografico. «Un patrimonio prezioso, un sistema monumentale diffuso, dove ci sono opere celebri come il Rosello, su Cantaru di Paulilatino, Grixoni a Ozieri, ma soprattutto ci sono centinaia di fontane, anche molto piccole che rischiano di essere lasciate da parte dalle dinamiche culturali dei paesaggi, dei centri storici, delle campagne». Ne è sicuro Marco Cadinu, docente di Storia dell'architettura all'Università di Cagliari e coordinatore di un bel progetto di ricerca, durato tre anni e finanziato dalla Regione, nel corso del quale sono stati censiti oltre 500 manufatti disseminati dal nord al sud della Sardegna. Un lavoro fatto in collaborazione con gli atenei di Sassari, Torino e della Tuscia, e presentato ieri al convegno “Fontane storiche e architetture dell'acqua in Sardegna”, visibile in una mostra fotografica aperta, sempre ieri, al Ghetto, in Castello, e visitabile fino al 10 gennaio.
«Le architetture dell'acqua - spiega lo studioso - sono una delle chiavi per conoscere l'organizzazione della società regionale nel corso della storia. La capacità di investire su un bene così prezioso - prosegue - testimonia del buon governo e del controllo politico del territorio».
A Sassari, l'uso democratico dell'acqua era, nel medioevo, assicurato da un magistrato, “su partidore de abba”, un «uomo di cultura, molto capace, che sapeva misurare con equità la distribuzione del bene, evitando litigi». Di acqua necessitavano gli ortolani, i possessori dei mulini, i conciatori di pelli. «La disponibilità pubblica di questa risorsa - prosegue - fa grande una città». A Cagliari invece il rifornimento era assicurato da un sistema di cisterne private e da una rete di fontane come quella di Santa Croce, San Guglielmo, fontana Bona. «Non c'era però un approvvigionamento pubblico, e l'acqua si comprava dagli acquaioli».
Accanto a questa storia nota, ci sono tanti altri piccoli racconti d'acqua di cui è punteggiata l'Isola. «Alcune fontane sono sorte attaccate alle sorgenti e ridisegnate nel senso più bello della parola. Oppure altre sono perché c'era già un acquedotto. Intorno a una fontana si fa una piazza e quindi una comunità». C'è insomma una funzione sociale intorno a un'architettura che porta l'acqua. Svolta da tutte, piccole e grandi costruzioni, che hanno caratterizzato la società dell'Ottocento, la Sardegna sabauda, quella settecentesca fino a metà degli anni Cinquanta. Ora queste fontane sono spesso chiuse, conquistate dalle erbacce, demolite, persino rubate o sigillate da Comuni in bolletta, poco disposti a concedere l'acqua gratis. «Lo scopo del lavoro è anche non dimenticarle».
Quest'indagine bella e interessante è leggibile attraverso le foto della mostra allestita al Ghetto, dove la sacralità dell'acqua, nel senso più ampio del termine, è documentata dai mascheroni che la sputano, dai lavatoi disegnati, per esempio, da Enrico Pani, allievo di Gaetano Cima, che ha firmato quello di Villacidro. E ancora dalle donne con il cercine sul capo, che l'attingevano ai pozzi con le brocche. Per non parlare del fascinoso cammino dato dalle forme, una su tutte, la cuba, a cupola, con un chiaro rimando all'architettura araba, visibile anche nella versione tridimensionale ricostruita nel video di Gianni Alvito di Teravista. Un racconto dove si intrecciano architettura, storia, ingegneria, evoluzione di una società e una intensa memoria.
I pannelli della mostra, appunti visivi della ricerca sul campo, saranno esposti alla facoltà di architettura di Alghero e all'università di Torino.
Caterina Pinna