Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Dik Dik show «Cari Stones questo è rock»

Fonte: L'Unione Sarda
15 ottobre 2015

Il concerto Sabato al Conservatorio di Cagliari


 

 

S ul palco dicono di essere una cosa sola «ma poi finito il concerto ognuno ha la propria vita»: sta qui, in quella che Pietruccio Montalbetti, leader storico dei Dik Dik definisce sana tolleranza il segreto della longevità di un gruppo che ha attraversato la storia della musica leggera italiana. Sabato la band de L'isola di Wight e di Sognando la California sarà alle 18 al Conservatorio di Cagliari per l'appuntamento annuale con “Sull'onda dei ricordi. Serata d'Autunno” organizzato dal maestro Lucio Tunis. Montalbetti apre l'album dei ricordi.
Anno di nascita 1965. Sono passati cinquant'anni e continuate a fare musica: che cosa vi spinge?
«È lo spirito goliardico con il quale affrontiamo il pubblico che ci motiva. Per noi stare davanti agli spettatori è come per un drogato drogarsi (anche se questo non è per niente rock). Ci dà vita. È come se sentissimo il dovere di raccontare. Io, Lallo Sbriziolo e Pepe Salvaderi non siamo dei jukebox: saliamo sul palco, proponiamo i brani portando un valore aggiunto, la nostra esperienza».
Siete stati i primi ad importare la musica d'Oltreoceano in Italia.
«Era finita la guerra e in America era nato il rock sconosciuto in Italia: le cover sono venute fuori proprio perché non avevamo un retroterra musicale, non eravamo in grado di comporre. Gli inglesi ascoltavano il blues, il rock'n roll. Noi avevamo Joe Sentieri, Carla Boni. C'era però una generazione che voleva esprimersi in un'altra maniera. “Radio Lussemburgo” trasmetteva la beat generation. Sono arrivati i Beatles, i Rolling Stone: non abbiamo fatto altro che esprimere ciò che i giovani desideravano ascoltare. Il nostro primo successo è stato “California Dreamin'” dei The Mamas & the Papas . Quando l'abbiamo portata in Italia e i ragazzi sono impazziti. Abbiamo importato una cultura, un nuovo modo di concepire la vita».
Vi hanno influenzato i Beatles. Hanno scritto per voi Battisti e Mogol, mica male.
«I Beatles sono stati nostri idoli. La nostra era una generazione che non sapeva suonare, ma aveva tanta voglia di fare. Brian Epstein, storico manager, scriveva di loro che avevano r ivoluzionato il mondo pur non sapendo né leggere né scrivere la musica . Il mio rapporto con Lucio invece nasce prima della sua fama, l'ho adottato per simpatia, poi è diventato nostro produttore ed ha scritto capolavori come Vendo casa ».
Quanto è cambiata la musica e il modo di farla in questo mezzo secolo?
«È cambiata in peggio. Negli anni Sessanta c'era un foglio bianco da riempire. Oggi molti fanno le cover delle cover. Certi gruppi attuali fanno cose che al mio tempo li avrebbero sparati eppure oggi hanno successo».
Per un esordiente meglio Sanremo o i talk show?
«Nessuno dei due. Sanremo è la dannazione dei giovani. Marco Carta ha vinto un'edizione. Ha avuto un successo flash poi ha fatto un concerto al Forum di Assago e c'erano 180 persone. È un'umiliazione».
La pensione può aspettare?
«Abbiamo in cantiere un nuovo progetto discografico al quale collaboreranno grandi artisti italiani come i Tiromancino. Uscirà nel 2016. Vogliamo tornare in pole position e rimetterci in gioco facendo delle cose importanti, proponendo anche delle canzoni nuove».
Negli anni Sessanta erano i giovani, oggi i vostri fan sono solo anziani?
«No, oggi ci segue anche una generazione giovane, sono i trentacinquenni che si stanno riavvicinando a un mondo musicale irripetibile. Prendiamo i Rolling Stones. Hanno la nostra età e fanno concerti con un seguito di tre generazioni. La gente li adora. Per noi è lo stesso. Quando facciamo i concerti i più vecchi siamo noi sul palco. Motivo per fare musica con piacevolezza, non per denaro (certo ci pagano) ma a volte mi dico dovrei pagare io perché la gente ci regala una linfa vitale».
Simona Arthemalle