Arrivati a Cagliari dieci giorni fa, inseguono il sogno di andare nella Penisola
«No like Cagliari, go Roma». Macit si è appena svegliato. «Cagliari non mi piace, vogliamo andare a Roma» traduzione dall'inglese abbozzato. Bed and breakfast dei disperati in piazza Matteotti: una coperta per la notte e un sorso d'acqua a colazione dalla bottiglietta da mezzo litro che deve bastare per lavarsi almeno la faccia. Alle 6 del mattino questo è il risveglio dei reduci dell'ondata dei 900 migranti. Sono arrivati a Cagliari dieci giorni fa, soccorsi al largo delle coste libiche. Ne sono rimasti pochi, nei giorni scorsi erano un centinaio e tutti hanno trascorso le ultime notti nella fontana, nei posti letto di fortuna rimediati proprio all'interno della vasca vuota.
IN FUGA Insieme a Macit, in fuga dal Sudan, ci sono il connazionale Abdalla e Mulugheta, eritreo. Non conoscono neppure una parola di italiano, né di inglese e francese. Ma si fanno capire quando dicono che Cagliari non è certo la città dove vogliono restare. Hanno dai 20 ai 26 anni, ne dimostrano 40.
IL RISVEGLIO Comunicare con loro non è semplice. Sono diffidenti: non rifiutano però un latte caldo e una tazzina di caffè, a colazione. Ringraziano e provano a indicare nella mappa che gli mostriamo sullo smartphone il percorso che hanno seguito e dove vogliono arrivare. Indicano la Sardegna, poi Roma. Attorno alla fontana ci sono decine di coperte lasciate lì da chi è partito. I ragazzi rimasti, intorno alle 7, piegano le loro, infilano le scarpe. Mulugheta prende i jeans appesi all'inferriata dell'aiuola accanto alla fontana e si cambia. «No toilette». Anche per oggi nessuna doccia.
LA SOLIDARIETÀ I pendolari lanciano ogni tanto un'occhiata distratta. Annarita Ghiani arriva da Segariu, attende l'autobus per andare a lavoro. «Da oltre una settimana, alle 6.30 del mattino in punto, mi si stringe il cuore. Stanno male loro ma stiamo male anche noi nel vederli in queste condizioni. Tutte le regioni d'Italia devono collaborare ma c'è chi si tira indietro. La Sardegna sta dando il suo contributo anche se farli arrivare dovrebbe implicare la possibilità di accoglierli».
Martino Murgia, conducente del Ctm, parte ogni giorno dalla piazza con la linea 31. «Li vedo ogni mattina, si lavano sotto le palme. Non ci sono rubinetti e utilizzano le bottiglie distribuite la sera dai volontari». La notte, gli operatori dell'associazione l'Aquilone sostano con il camper proprio in piazza Matteotti. «Una tazza di thè, un panino - racconta il presidente don Carlo Follesa - l'occasione per scambiare due parole. Perché spetta a noi capirli».
Mariangela Lampis