Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Il dolore degli Hemingway

Fonte: L'Unione Sarda
8 giugno 2015

Leggendo Metropolitano Il nipote del grande scrittore ospite dell'ultima giornata

John: «Il male di vivere di papà e del nonno» 

C osa ha di suo padre in sé e cosa di suo nonno?
«Credo di aver ereditato da mio padre l'umiltà, l'entusiasmo, la bontà e le grandi doti di cacciatore. Da mio nonno spero di aver preso le capacità di scrittura, la disciplina che lo scrivere comporta, lo sguardo aperto sul mondo e l'amore per la complessità delle arti».
Per intenderci, John Patrick (Usa, 1960) al fresco domenicale dei Giardini pubblici di Cagliari, prima del suo incontro al festival Leggendo Metropolitano, sta parlando di Ernest Miller Hemingway (Premio Nobel 1954) e del figlio (quindi suo padre) Gregory. Lo fa a volte ridendo. A volte dovendo interrompere il confronto, quando l'emozione prende il sopravvento, e non per questioni di nostalgia.
La sua è una storia dura fatta di sofferenze, di un bambino cresciuto in una non famiglia. Una storia parallela fra un padre «il grande scrittore» suicidatosi nel 1961 e un figlio «Gregory che divenne Gloria», che morì in carcere. Due vite con infiniti incroci raccontati da John nel libro “Strange Tribe: A Family Memoir” tradotto in tutto il mondo ma non in Italia.
Chi era suo padre? Perché raccontare la sua storia?
«Era un medico. Soffriva di psicosi maniaco-depressiva, era bipolare. Si travestiva sin da ragazzino. All'età di 63 anni decise di cambiare sesso. Morì nel 2001 nella prigione femminile di Miami-Dade. Era stato arrestato cinque giorni prima durante una sua crisi. Nella notte di detenzione fu colpito da un infarto. Nessuno se ne accorse. Raccontarlo è un atto di giustizia. Narrarlo significa riabilitarlo e far conoscere la sua sofferenza».
Lei ha detto: “Per capire mio padre dovevo capire mio nonno”.
«Dovevo partire dalla radice per scoprire ciò che li accomunava, tante passioni, la caccia, la pesca. E purtroppo la malattia, la depressione. Ma anche ciò che li divideva».
È stato un lavoro duro andare a fondo sui fatti di famiglia?
«Sì, molto. Indagare su di loro mi ha portato ad aver paura di indagare su di me. Mi sono chiesto: Sarò anche io così? Questa linea di debolezza mentale, che li ha colpiti, è in me? Anche mia mamma Alice Thomas soffriva di schizofrenia. Dunque, i timori erano tanti».
Cosa ha scoperto di suo nonno che noi non abbiamo capito e che lo legava al figlio.
«Ernest, per tutti il re del macismo , si interrogava sui temi delicati della sessualità. Su cosa è un uomo. Dove finisce la mascolinità e dove inizia la femminilità. Aveva questa sensibilità. Emerge dai suoi scritti. Per voi italiani mi piace ricordare il racconto “Una semplice domanda”, ambientato negli anni della prima guerra mondiale in Alto Adige dove il soldato Pinin scansa le avance di un maggiore gay. Nel racconto breve “The sea change”, ambientato in un bar di Parigi nel 1930, descrive un uomo che osserva una coppia omosessuale dopo che la sua compagna è andata via con la sua amante. Nel manoscritto, non nell'edizione pubblicata, Ernest si domanda se, in fondo, tutti noi, uomini, siamo così: pronti all'amore per una persona del nostro stesso sesso. Questa frase nel manoscritto fu barrata e mai arrivò al pubblico».
Perché il suo libro non è stato tradotto in Italia?
«Non lo so. Ma non dispero. Non fu facile neppure pubblicarlo negli States. Anche lì ho avuto molti rifiuti, il fatto che mi chiamassi Hemingway di certo non poteva bastare, dovevo dimostrare di avere una buona storia e di saperla raccontare».
Francesco Abate