Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Teatro Lirico L'opera di Verdi ieri a Cagliari Aida fischiata Una prima flop

Fonte: L'Unione Sarda
1 giugno 2015

 

N on è mancato all'appello il pubblico, in questa contrastata prima di “Aida” che ha finalmente aperto la stagione operistica del Teatro Lirico di Cagliari. Non sono mancati neanche i fischi all'indirizzo del regista Stephen Medcalf, colpevole (come già sei anni fa) di aver dato una lettura diversa dalle attese. Ma alla fine di uno spettacolo lungo tre ore, non sono mancati - tra i buuh indirizzati alla regia - neppure i consensi ai protagonisti di questo capolavoro assoluto. Su tutti, le due protagoniste: Dimitra Theodossiou e (soprattutto) Anna Maria Chiuri. Aida e Amneris. Superiori – nella storia raccontata – a tutti gli altri. Sono loro, con i loro sentimenti contraddittori, le anime di quest'opera così fraintesa: da sempre travestita da kolossal e invece raffinata, intimista, continuamente giocata sulla dialettica tra ragione privata e ragione pubblica.
Lo ha ben detto nella conferenza di presentazione Giovanni Bietti, formidabile divulgatore di cultura e di musica, lo può ben capire chi in questo capolavoro verdiano non cerca trionfi. Medcalf, con la sua scelta contestata e indubbiamente coraggiosa, lo sottolinea giocando sulle sottrazioni, esaltando gli aspetti lirici, togliendo gli orpelli a una trama che si regge su ben altro. La storia che viene raccontata non si svolge nell'Egitto dei Faraoni (solo un triangolo di luce azzurrina, che si staglia nel primo atto sul capo di Radamès e incombe alla fine sui sepolti vivi, ci dice dove siamo). È ambientata negli anni in cui “Aida” nacque, e dunque durante il conflitto franco-prussiano. Anni di fuoco. E così alle note della Marcia trionfale di Radamès, nella scelta registica di Medcalf sostenuta dalla scenografia e dai costumi di Jamie Vartan, fanno da contrappunto gli spari dei cannoni e la danza delle armi. A dirci che ogni vittoria porta con sé la morte.
È un j'accuse a tutte le guerre, un inno alla pace, questa “Aida” del regista britannico (ripresa anche stavolta da Marco Carniti, che ha lavorato fianco a fianco con lui). Non solo perché pace è l'ultima parola dell'opera, pronunciata da una disperata Amneris. Ma qui la pace non c'è. E quel deserto che domina la scena è un deserto dell'anima. Un avamposto di disumanità dominato da soldati e ministri del cielo assetati di sangue. A governare tutti un re zoppo, e non è poco).
Se la parte femminile dell'opera appare sospesa in una dimensione atemporale e orientaleggiante (bella la coreografia di Gloria Pomardi), gli uomini sono immersi nella Storia, che è storia di Guerra. E indossano tutti una divisa. Di grande impatto l'ambientazione del tempio di Vulcano, meno apprezzate dal pubblico le gabbie del terzo atto. Di non facilissima comprensione neppure la soluzione della tomba dei due amanti. Ce la spiega Medcalf: «La morte sta nell'emergere di questo deserto che occupa tutta la scena. Il nulla che invade lo spazio».
Maria Paola Masala