Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Cagliari-hinterland, idea choc «Facciamo un solo Comune»

Fonte: L'Unione Sarda
11 maggio 2015

Agus (Sel): referendum in ogni centro. L'area metropolitana? Aiuterà l'Isola 

Alessandro Magno a 33 anni aveva già riunito mezzo mondo con le sue conquiste. Francesco Agus, forse perché ne ha solo 32, si pone un obiettivo più umano: unificare l'area vasta di Cagliari. Nel dibattito sulla città metropolitana, nuovo ente che spaventa il resto della Sardegna (stasera a Sassari la Fondazione Segni terrà un convegno sui rischi del cagliaricentrismo), il presidente della commissione Riforme del Consiglio regionale abbozza una proposta-choc: una «Grande Cagliari», un solo Comune da 400mila abitanti e più, che del resto già oggi condividono gli stessi problemi.
Ma non sarà la legge di riforma degli enti locali a imporlo: «Si pronuncino le popolazioni dei Comuni, con i referendum», dice Agus. Nel frattempo, il consigliere regionale di Sel promette tempi rapidi per approvare la riforma: «Faremo gli straordinari in commissione, contiamo di portare il testo in aula a fine giugno».
Il disegno di legge della Giunta sarà modificato?
«Sì, anche perché da quando è stato presentato sono cambiate alcune cose».
Roberto Deriu, del Pd, dice che è passata l'ansia statale di eliminare le Province.
«È vero. La legge Delrio stabilisce che le Province devono essere enti di secondo livello, quindi non eletti dal popolo. Ma si è capito che, per gestire le funzioni sovracomunali, nel breve periodo le Province resteranno».
Ma i referendum sardi del 2012 le hanno abolite.
«Hanno abolito le quattro “nuove”: la riforma ne terrà conto. E dal 30 giugno saranno commissariate quelle ancora guidate da un presidente e da un Consiglio».
I referendum chiesero anche l'abolizione delle Province storiche, seppure con voto solo consultivo. I Riformatori già vi accusano di tradire la volontà popolare.
«Intendiamo evitare passi falsi che pagherebbero i cittadini, in termini di servizi peggiori. Strade, scuole: chi fa le cose che non possono fare i Comuni? Nessuno sa ancora dirlo, neppure i Riformatori. Le Province hanno accumulato circa 170 funzioni: penso si possano ridurre a 7-8, forse meno».
E i dipendenti?
«Contando i precari e le società partecipate, sono circa 2000. Riusciremo a non lasciare a terra nessuno, ma non è semplice dare subito a tutti soluzioni definitive».
Cioè non potrete stabilizzare i precari?
«La legge di stabilità vieta il ricorso ai precari. Ma soprattutto stiamo lavorando, su questo tema, a una legge che regga alle impugnazioni del governo».
Torniamo alle Province. Si torna alle quattro storiche?
«Sì. Poi ci sono territori che si distinguono per la necessità di politiche comuni, come la Gallura e l'Ogliastra: bisognerà trovare forme di compensazione».
Altri enti?
«No, non possiamo moltiplicare i livelli di governo. Semmai pensiamo a forme di dialogo tra le Unioni di Comuni della singola zona. Ma senza strutture con potere diretto di gestione».
Si va anche verso la gestione associata di alcune funzioni comunali. Significa che i piccoli Comuni saranno costretti a fondersi?
«Nessuna fusione obbligatoria: la struttura microcomunale della Sardegna è una ricchezza che dev'essere preservata. Il problema però è che, con i tagli attuali, non è sempre sostenibile economicamente la gestione dei servizi divisa tra i singoli Comuni».
In soldoni: le 377 fasce tricolori sarde rimarranno?
«Rimarranno. E nessuno dovrà sentirsi spogliato se alcune funzioni verranno gestite su territori vasti, laddove questo dia più efficienza. Anche l'inchiesta della procura di Oristano, del resto, ci spinge in quel senso».
Cosa c'entra l'inchiesta?
«Beh, il sindaco di un piccolo Comune deve dividersi tra il suo lavoro e l'amministrazione, ed è costretto a fronteggiare problemi delicati e prendere decisioni complicate. Una gestione accentrata di alcune funzioni può aiutarlo, anziché danneggiarlo».
Altro grande timore diffuso: la città metropolitana di Cagliari ruberà risorse e peso politico al resto dell'Isola.
«Io credo che la salvezza della Sardegna sia legata in gran parte alle produzioni agroalimentari, e Cagliari deve ritornare a essere l'emporio di tutta l'Isola. La desertificazione della Sardegna, la sottrazione di risorse alle altre aree, sarebbe anzitutto il suicidio del capoluogo. Non vedo quel rischio».
Esclude comunque che possano esserci più aree metropolitane in Sardegna?
«Può esserlo solo Cagliari perché è inserita in un elenco nazionale, e perché altri territori richiedono semmai altre forme di riequilibrio. Tra il capoluogo e i centri dell'hinterland non c'è soluzione di continuità, e si raggiunge una densità di popolazione elevatissima. Non è lo stesso per Sassari e Alghero, per fare un esempio».
Ma a cosa serve, in sostanza, un'area metropolitana?
«A gestire dei rapporti che esistono già. Oggi di fatto siamo davanti a un centro di 400mila abitanti che vivono gli stessi problemi, dal Poetto alla 554 e oltre, e tra questi confini si spostano di continuo. Se penso alla Cagliari del futuro, penso a un'unica grande città».
Quindi anche un solo Comune?
«Magari sì. Certo, nel caso sarà un percorso lungo. Nell'arco dei lustri. Ma da qualche parte si dovrà iniziare. La gestione a compartimenti stagni ha creato duplicazioni di servizi, sprechi, programmazioni urbanistiche illogiche».
Per esempio?
«Pensi all'esplosione del commercio sulla 131, che ha portato alla desertificazione di altre zone dell'area vasta. Sono problemi da valutare tutti insieme. Così come le politiche dei trasporti».
Creare un solo Comune susciterà delle reazioni.
«Di certo l'autonomia sulle tematiche puramente locali può e deve essere garantita. I modi ci sono, penso a un distretto federale stile Bruxelles. Ma siamo sicuri che quei 400mila cittadini non si sentano già parte di una sola, grande città?»
Lei pensa di sì?
«Io penso che debbano esprimersi loro. Perciò un percorso simile non può essere imposto dal Consiglio regionale, e neppure dai Consigli comunali. Lo Statuto speciale, per passaggi simili, impone i referendum: facciamoli e vediamo che cosa sceglie la popolazione».
Giuseppe Meloni