La strage dei migranti nel Mediterraneo: l'ipocrisia del lutto cittadino e lo scrollarsi la coscienza
La faccenda terribilmente dolorosa e seria. Senza troppi giri di parole: un'ecatombe.
Tragedia per tanti motivi: l'incredibile numero di vittime; la crudeltà della morte, perché se sono tanti i modi per morire alcuni di questi sono peggiori degli altri; il reiterarsi nel tempo delle dinamiche dei viaggi della speranza che sembrano così lontane dal nostro quotidiano contemporaneo e le trasformano in perfetto - si fa per dire - contenuto televisivo. Anche la non più eccezionalità degli eventi contribuiscono alla serialità e alla spettacolarizzazione mediatica, esaltando ora morbosità sopite ora l'epica dei buoni sentimenti ad uso e consumo social.
Vengono i brividi a leggere i racconti dei pochi sopravvissuti, appena ventotto su 950, al naufragio avvenuto la notte tra sabato e domenica nel Canale di Sicilia, a circa 60 miglia a nord della Libia.
Però questa sensazione dei brividi la conosciamo da parecchio tempo. E sarà pure il caso di dirsi, senza ipocrisie, che sembra essere l'unica reazione della classe politica di ogni ordine e de-grado. Capace di intasare tutto ciò che è social, profili facebook, twitter, periscope, e di occupare ogni canale tv.
Stavolta, con un guizzo comunicativo, per "tenere i riflettori accesi" sulla tragedia è spuntato il lutto cittadino, che ha colpito, colpisce, colpirà buona parte dei comuni italiani. Una bandiera a mezz'asta è la medicina giusta per tagliare le ali alle farfalle che svolazzano nello stomaco delle emozioni.
In fin dei conti basta poco a farci sentir bene: una condivisione collettiva del dolore e via verso nuove avvincenti meraviglie sensoriali. I più fortunati riusciranno pure a farci sopra un selfie durante il sempreverde "minuto di silenzio".
Qui in Italia siamo davvero numeri uno al mondo di fiaccolate e gattopardismo, con menzione speciale in imbiancamento di sepolcri. Nel campionato della caciara politica e del rimpallo di responsabilità sinistra-destra-centro, poi, vinciamo per abbandono delle altre nazioni.
Non si governa più: chi sta ai vertici delle istituzioni pensa prima di tutto ad obbedire, quando va bene, alle regole internazionali dell'economia, perché tutto è assoggettato allo sviluppo economico (di chi e di cosa non è dato saperlo, ma si sospetta della Comunità Europea).
Così si sente dire, dai "governanti", che serve subito aprire "corridoi umanitari". E poi chissà. Che tanto basta a sfamare l'emotività pruriginosa.
C'è una domanda che aspetta una risposta per ogni vittima dei viaggi della disperazione. Maree di punti interrogativi frutto di complesse situazioni geopolitiche.
Tanto i cadaveri vanno a fondo, quanto sembra galleggiare in superficie la concreta volontà di imporre l'alt a nuovi massacri.
Con queste poche righe non c'è certo la presunzione di trovare neppure una mezza risposta, ma il desiderio di provare a riflettere. E lo spunto, migliore, arriva proprio da facebook, scritto dal giornalista PG Molinari: "Ok, solidarietà e umanità. No al razzismo, certo. Ma a parte piangere queste morti, quali idee abbiamo in concreto per affrontare la questione immigrazione? I libici sono circa 6 milioni: se soltanto uno su sei vuole immigrare in Italia si tratta di un milione di persone. I siriani sono quasi 18 milioni, gli iracheni più di 30 milioni, gli algerini oltre 36 milioni. Che facciamo, diamo casa e lavoro a una ventina di milioni di persone?".
Ecco più che sentire parole di circostanza, dalla classe politica sarebbe interessante ascoltare proposte e risposte.
Giovanni Follesa