Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Nel deserto delle aspirazioni tradite e perse

Fonte: L'Unione Sarda
4 febbraio 2015

Personaggi Leo Gullotta a Cagliari sino all'8 febbraio 

P ersona cortese e professionista di vaglia, Leo Gullotta parla con contagiosa passione del suo lavoro. Si dice assai contento di tornare in Sardegna con un'opera di Giuseppe Patroni Griffi che andrà in scena, da stasera all'otto febbraio, al Teatro Massimo di Cagliari per la stagione della CeDac. Cabarettista al Bagaglino, doppiatore (sua anche la voce del mammut Mannny nei film della serie “L'era glaciale”) l'attore è protagonista, assieme ad Eugenio Franceschini per la regia di Fabio Grossi, di “Prima del silenzio”.
Sul palco, un uomo e un ragazzo. Che cosa li accomuna?
«Il fatto di essere diversi e soli. Li divide l'età e la loro percezione del mondo. Il giovane e l'anziano non hanno nome, rappresentano due generazioni molto lontane per esperienze e aspettative. Il Poeta parla, circondato dai libri. L'altro ascolta ma non comprende appieno questo fiotto di delusione e invettive ogni tanto interrotto dall'apparizione virtuale di altri personaggi».
Lei interpreta il ruolo che fu nella prima rappresentazione di questo atto unico di Romolo Valli. Responsabilità pesante?
«La nostra messa in scena è un esplicito omaggio a Romolo Valli. E a Peppino Patroni Griffi, grande figura del Novecento, che sosteneva l'importanza della parola come strumento di conservazione della memoria. Nelle sue pagine, che paiono scritte oggi, ci sono una quantità e qualità di suggestioni che ci riguardano da vicino. Il fallimento, il conflitto, le aspirazioni tradite».
Il testo è stato composto nel 1979. Da allora il linguaggio corrente si è ancor di più impoverito. Perdendo i vocaboli, si perde anche la capacità di elaborare ragionamenti ?
«Purtroppo sì. Oggi tutti camminano a testa bassa, digitando tasti. Non alzano gli occhi a guardare la bellezza intorno. Che può è essere anche il sorriso di un bambino. L'Italia che ha inventato il Rinascimento si è appiattita culturalmente per colpa degli stimoli commerciali».
La parola, il logos, è azione. Senza di essa si diventa passivi ?
«Sì, i cittadini si sono lasciati andare e vagano nel deserto. Sono smarriti e intimoriti e hanno bisogno di riflettere per potere ancora sperare. Noi offriamo loro una carta da giocare per riprendersi la vita. Questo spettacolo, ricco di fascinazione e innovazioni tecnologiche, apre i cassetti dell'anima, tira fuori le fratture che vi si nascondono. È un pugno nello stomaco, ma serve ad abbattere la paura perché ha la forza dell'onestà. Il teatro deve tornare a parlare di moralità e lo fa in un luogo d'incontro, lo spazio fisico della platea. Stare insieme, uscire da casa sottraendosi alla pigrizia, è una medicina che disintossica».
Lei si fa dirigere spesso da Fabio Grossi. Vi lega una speciale sintonia?
Ci conosciamo da sempre. Lui mi offre progetti che mi attraggono. Abbiamo fatto assieme Pirandello e Shakespeare, rileggiamo i classici cercando di coglierne gli aspetti originali. Le sue proposte accendono la mia curiosità e io, per fortuna, coltivo la curiosità. Che mi ha sempre guidato».
Alessandra Menesini