Rassegna Stampa

La Nuova Sardegna

Nell’isola il record di aziende in perdita

Fonte: La Nuova Sardegna
19 gennaio 2015

Le difficoltà delle imprese che aspettano la ripresa per investire. Intanto migliora il rapporto con gli istituti di credito


di Alfredo Franchini

CAGLIARI E’ una Sardegna con il motore imballato quella che viene fuori dal check-up compiuto dalla Confindustria sul Mezzogiorno. I numeri sono da baratro per la perdita di ricchezza, (quattro miliardi di euro in termini di Pil dal 2007 a oggi), il calo dei consumi e la pressione fiscale alle stelle ma qualche segnale incoraggiante arriva dal mondo del credito. Alla discesa dei tassi si aggiunge la buona notizia della stabilizzazione del rapporto tra domanda e offerta di credito: significa che chi intende investire potrà avere risposte dalle banche. Questo non vuole dire che il mondo del credito sia diventato improvvisamente rosa: il Rapporto realizzato dall’Area politiche regionale di Confindustria, diretto da Massimo Sabatini, mette in rilievo i dati del Fondo di garanzia per le piccole imprese: in Sardegna per 1.370 operazioni sostenute, i finanziamenti garantiti sono stati appena 122; la realtà è che c’è stata una forte contrazione delle operazioni in tutte le regioni del Sud, (dal 32% al 28% dl totale e i finanziamenti garantiti si sono ridotti al 22,7%). Un dato preoccupante perché testimonia la sfiducia delle imprese. Cresce il disagio di pari passo al peso della burocrazia. Bilanci in rosso. Fare impresa in Sardegna è più difficile e il concetto si concretizza nella percentuale di aziende in perdita: 38,2%, record nazionale. Secondo i dati di Infocamere, è in perdita una società su tre. In valori assoluti il primato negativo è delle imprese della Campania, (sono in rosso 8.590 aziende), contro le 3.236 della Sardegna. Cosa accade? Da una parte molte aziende sono uscite dal mercato, (1.290 società sarde fallite dal 2009 al dicembre dell’anno scorso), dall’altro lato, le imprese che sopravvivono registrano un peggioramento del conto economico. Ripresa. In questo scenario, se la Sardegna riuscirà a spendere i milioni che sono rimasti in sospeso dalla rendicontazione di fondi strutturali del precedente quadro (2007-2013), potrà incominciare a recuperare un po’ del Pil perso in questi sette anni di crisi. Dal 2007 al 2013, infatti, sono stati persi 13 punti che equivalgono a 4.068 milioni di euro. Export. In tutte le regioni del Sud esportare è diventata una grande fatica nel mix di crisi e carenza di infrastrutture: -3,1 il dato del Mezzogiorno, -11,8% in Sardegna nell’ultimo anno preso in considerazione, (il 2014 sul 2013). Se si analizzano i valori delle esportazioni su base provinciale è un’ecatombe: Sassari -14,2 per cento; Nuoro -16,2%; Cagliari - 12,6%; Oristano -11,4%. Se si esclude la Gallura (-1,2%) le altre tre nuove province hanno subìto un vero crollo: Ogliastra e Medio Campidano -43% e Sulcis Iglesiente addirittura - 124,4%. E’ evidente come sulle esportazioni abbiano inciso la crisi della grande industria e il nuovo scenario che riguarda la crisi petrolifera. Energia. Le tecnologie americane hanno modificato il mercato del petrolio e questo rischia di complicare la vita alle regioni del Sud Italia le cui esportazioni (19,2 miliardi di euro) hanno in buona parte (5,2 miliardi) l’esportazione di coke e prodotti raffinati in Sardegna (alla Saras) e in Sicilia. Il crollo del prezzo al barile, sceso sotto i 48 dollari grazie alle scoperte fatte negli Stati Uniti, rischia di creare nuovi problemi alle imprese della raffinazione. L’incremento nella produzione di energia alternativa, solare e eolica, è infatti positivo ma è un’energia che non si esporta. Infrastrutture. La fatica di essere sardi è spiegata col l’indice delle infrastrutture: su un parametro di 100 la Sardegna totalizza 43 per le strade, 17 per le ferrovie, 83 per i porti e 86 per gli aeroporti. Qualsiasi ipotesi di aggancio alla ripresina prevista in campo nazionale (+0,1%), passa per la soluzione dei problemi strutturali, dalle infrastrutture all’energia.