Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Va in scena la sinfonia (in tre atti) del disgusto

Fonte: L'Unione Sarda
7 gennaio 2015


Casi teatrali “La merda” di Cristian Ceresoli al Massimo di Cagliari per Palco Festival 


I n fondo l'idea è semplice: una bestia sul trespolo al centro della scena. Nuda, perché una tigre non può essere vestita. Si offre con le spalle al pubblico, poi si volta e lancia occhiate ammiccanti, come certi spot che promettono il sogno. Niente attorno, ma via via si accumulano detriti invisibili che soffocano chi parla e chi ascolta. Sono i pezzi alla rinfusa di una cultura che puzza di profumo, imbastardita, truccata pesantemente dagli anni Sessanta in poi. Fino a far dire a qualcuno “la pubblicità è tutta la mia vita”. Ovviamente con una pausa “clamorosa”. Lo dice anche la bestia, che non a caso è lì per un provino. E, sempre non a caso, è una donna. Nuda, perché vestita solo di libertà. Nuda, perché così è più facile confessarsi.
Ma quante versioni esistono di questo fantomatico concetto? Libertà. Si può essere libere quando si hanno “gambotte da tonno”? Sì, a patto che i pubblicitari vogliano proprio quello, magari per contrasto. E questa bestia è pure piccola. Non ci siamo davvero con i parametri correnti, ma non si sa mai. Dopotutto erano piccoli, “tappi malnutriti”, anche i mille garibaldini del Risorgimento. Persino il nostalgico padre. E comunque una cosa è certa: questa bestia, questa donna, vuole farcela. Vuole arrivare. Vuole sfondare. Ma intanto? Intanto si lacera da sola, con le unghie e con le parole (già, l'arma più feroce), si trivella, si mastica, si inghiotte e si espelle. E si rimangia, intonando l'inno di Mameli. Si mette a nudo, insomma. Anche dentro. Finendo in fondo al water di un Paese che si adegua facilmente agli ideali fasulli. L'Italia.
Gira per il mondo da due anni, “La merda” di Cristian Ceresoli, approdato l'altra sera (scontato il pienone) al Massimo di Cagliari per il Palco Festival. E dal 2012 la “bestia”, Silvia Gallerano, colleziona premi e ovazioni. Il che fa da moltiplicatore del successo. Curioso: ciò che si straccia in scena è il propellente di ciò che lo straccia. Anche i mostri sono utili. Tanto più in quest'epoca rovesciata. Ma non è un male, perché lo spettacolo vive di fuoco proprio. La rabbia ha ancora qualche anno (o decennio) di vita, stando così le cose, e tanto più se è autentica. Lasciamo stare il discorso delle censure striscianti: da sempre fanno gioco al prodotto. E pure il titolo, sdoganato già dall'arte (per esempio). E pure il linguaggio: nei teatri del mondo c'è di più, meglio o peggio che sia.
Il punto è un altro: non c'è alcuna ragione per affermare che la società contemporanea stia cercando nuove soglie. E che siano in vista altri modi di maneggiare il corpo. La creatura sul trespolo è ossessionata dalle sue cosce debordanti, e si sa che aumenta costantemente il numero di quanti piangono per questo. Ma assicura che guarda sempre «al cielo» e che può farcela, anche se sembra proprio patetica quando lo dice. Vuole farcela da piccola e grassa. E con quelle cosce. Perché anche così si può diventare una donna nuova, libera come i “tappi” che lottavano per l'Italia libera. E se la vogliono ancora più adiposa per alte ragioni pubblicitarie, tanto meglio: «Non mi fa più schifo», urlerà alla fine. È un programma di vita, il suo. Deprimente e disperato.
Lo spettatore vive le stesse lacerazioni, ostaggio di una piena emozionale (non sono esclusi i colpi bassi). La creatura lo incanta con le sue forme traballanti, e con gli occhi da circo, lo tiene in ostaggio con la sua sinfonia in tre tempi: Cosce, Cazzo, Fama. Per tre volte la donna parte dolce e urla in crescendo, fino a ruggire. Per raccontare di handicappati, parrucchieri, registi, mamme: i suoi incontri, perlopiù sporchi, col proprio corpo e con quelli degli altri. Frammenti smozzicati, urlanti, che diventano un pastone esplosivo.
Alla fine dell'ipernutrizione da rifiuti c'è solo il vomito. Mangia, come vuole anche la mamma: gonfiati, digerisci e scoppia. Ma cosa ti rimarrà se non rimangiarti “la merda”? Dopo che ti sei mangiata pure le cosce, i membri dei maschi, e persino la carne di un delfino? E poiché la bestia-donna deve chiudere il cerchio, cantare “Fratelli d'Italia” è assolutamente d'obbligo. Come il tricolore che la avvolge mentre il pubblico applaude.
Roberto Cossu