Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Perché non è solo una favola

Fonte: L'Unione Sarda
19 dicembre 2014


L'opera “Gli stivaletti” stasera al Lirico di Cagliari 


S oyuz-soyuz-soyuz In russo significa unione. Ma stavolta non c'è bisogno della traduzione di Tatiana Shumkova per capire a che cosa si riferisca Yuri Alexandrov, regista de “Gli stivaletti” che stasera alle 20.30 ritorna al Lirico di Cagliari per restarci sino al 30 dicembre. Basta la mimica. Le parole arrivano subito dopo, quando gli chiedi in che cosa si differenzi questo allestimento da quello che nel gennaio del 2000 conquistò pubblico e critica: «Russia e Ucraina», risponde sconsolato. Non aggiunge altro, per dire di come sia diventata più lunga, oggi, la distanza tra il piccolo villaggio di Dikan'ka e la reggia di San Pietroburgo. E allora, che fare, da uomo di teatro, per accorciare il volo fantastico del fabbro Vakùla a cavallo del diavolo Bes? Ridisegnare la coreografia prevista dall'opera. E fare delle due danze originali, quella ucraina e quella russa, un'unica danza. «Io non amo la guerra, e lo dico come posso. È una favola? Sì, ma anche attraverso le favole si può parlare di attualità».
L'opera comico-fantastica di Ciaikovskij (musicata sul libretto di Jacov Polonskij dal racconto giovanile di Gogol “La notte prima di Natale”), ha rappresentato per il regista il suo primo progetto italiano. Seguito da un “Don Giovanni”, un “Eugene Onegin” e una “Turandot” a Verona, e poi, nel 2005, dall'approdo alla Scala proprio con questo allestimento. «Ora posso solo dire che molte cose sono cambiate, dentro di me e intorno a me, ma è rimasto intatto il senso fondamentale di questa fiaba per adulti».
Uno spettacolo sontuoso (che conta sulle scene e i costumi di Vjachelsav Okunev), col quale Alexandrov ha inteso rendere omaggio «alla forza della Russia e alla bellezza lirica dell'Ucraina».
«Spero di esserci riuscito. Qui tutto sembra elementare ma non lo è. Non ci sono personaggi del tutto negativi (lo stesso Bes è un povero diavolo), e ciò che si racconta è una continua metamorfosi. Al di là del contrasto tra cielo e terra, umili e potenti, io ho voluto sottolineare la crisi dei rapporti tra uomo e donna. Nessun uomo oggi scrive più una lettera d'amore. Nessuno è disposto a dannarsi l'anima per far felice una donna come fa Vakùla per Oksana».
Come si lavora in Italia?
«Come dappertutto. I teatri hanno tutti gli stessi problemi. E dovunque, se c'è talento, si supera tutto. Divertirsi, giocare come bambini, questo è importante. Qui è tutto bellissimo, il maestro Renzetti è entusiasta. La difficoltà è realizzare gli effetti speciali di questa favola, ma il teatro sta dando il massimo».
Ha paura di deludere il pubblico nostalgico?
«Io non ho paura di niente e di nessuno. Lavoro con tutto me stesso e chiedo altrettanto. Vorrei portare quest'opera al Marinskj di Pietroburgo, nella città dei miei padri».
L'assistente alla regia, oggi come allora, è Tatiana Karpacheva…
«Già, mia moglie (lo dice in italiano). Volo da quarant'anni per procurarle gli stivaletti della zarina».
Maria Paola Masala