Lirica Applauditissima prima ieri sera a Cagliari
V olete una rappresentazione perfetta di una Chiesa che non ha nulla a che vedere con Dio? Di uno strapotere temporale che usa le croci come armi, e la religione come strumento di dominio? Andate a vedere “Tosca”. È - da 114 anni - un tragico trionfo dell'amore e della idee di libertà, un atto d'accusa di ogni forma di ipocrita perbenismo, ed è, nella lettura che ne dà Joseph Franconi Lee, un raffinato noir alla francese. Avvolto nella cupa atmosfera di rappresaglia che segue la fine della napoleonica Repubblica Romana.
È un'opera al nero nell'anima, e al bianco-nero nella scenografia di William Orlandi, questo allestimento che ieri ha debuttato al Lirico con la regia dell'italo-americano, assistente storico di Alberto Fassini (come Fassini lo fu di Visconti). Ed è alla sua “Tosca” del 1999 che Franconi Lee si rifà. A quell'allestimento del Comunale di Bologna che ha riletto, rivisto, portato al Regio di Parma con grande successo, nel 2009, e ora propone a Cagliari. “Tosca”, così classica, elegante, minimalista. Così splendidamente romana. Dominata nel primo atto (chiesa di Sant'Andrea della Valle) dalla cupola barocca del Maderno, immanente e oppressiva come il potere papalino. A nulla vale che il dipinto al quale lavora il pittore Mario Cavaradossi invada a sua volta il pavimento. Tra (il presunto) alto e il basso, tra lo strapotere politico-religioso e le idee libertarie di Cavaradossi e dei suoi amici, non c'è partita. Ne faranno le spese “i cani volterriani”, ne farà le spese Floria Tosca.
Leggera, devota, gelosa, incostante. E disposta a tutto per salvare il suo uomo, anche a uccidere il barone Scarpia, il capo delle Guardie pontificie. Non ci riuscirà. Moriranno tutti, e sarà il rosso del sangue, e della passione, a dominare la scena. Quello “vero” che sporca la camicia del pittore, quello simbolico della lunga sciarpa della donna. Tosca se la trascina dietro, come una scia infinita di orrore, quando lascia Palazzo Farnese dove ha appena accoltellato Scarpia. «Davanti a lui tremava tutta Roma», sussurra la cantante, dopo avergli reso un devoto-beffardo omaggio, mettendo accanto al cadavere due dei molti ceri del tavolo imbandito di vini e croci, sacro e profano. Correrà poi a Castel Sant'Angelo, osservata (ma non protetta) dalla gigantesca statua dell'arcangelo Michele, ma non riuscirà a salvare il suo amore. Potrà solo morire con lui.
Protagonisti assoluti del capolavoro pucciniano, il soprano Svetla Vassileva, il tenore Aquiles Machado e il baritono Claudio Sgura, altissimo Scarpia. Molti e calorosi gli applausi a tutta la compagnia di canto, all'orchestra e al direttore Gianluigi Gelmetti (vestito come sempre con la sua sobria divisa nera), al coro di Marco Faelli e a quello di voci bianche del Conservatorio, diretto da Enrico di Maira. Deliziosi nei loro vestiti rossi, i cantori sono stati protagonisti di quella processione del Te Deum che chiude magnificamente il primo atto: una sorta di ascesa verso il cielo che attraversa la cupola di Sant'Andrea. Ancora il cielo, quello livido di Castel Sant'Angelo, è protagonista della scena finale, la più intensa di questo emozionante allestimento: soltanto quando Tosca prenderà il volo, buttandosi nel Tevere, si tingerà di rosso.
Maria Paola Masala