Gli inglesi a Cagliari sul palco del Karel Music Expo
A tu per tu con il fondatore degli Orb Alex Paterson
«L'elettronica, Spotify, il mito di Gianfranco Zola»
G li inglesi Orb sono in pista dalla fine degli anni Ottanta. L'altra sera sono approdati a Cagliari al Teatro Civico di Castello, ospiti del Karel Music Expo, dove hanno offerto un set a base di house, elettronica, campionamenti e remix. «In tutti questi anni abbiamo cercato di cambiare», racconta il fondatore Alex Paterson una volta sceso dal palco: «L'obiettivo che continuiamo a perseguire è quello di reinventarci cercando un nostro stile di musica. Abbiamo una porta aperta su nuovi stili: dalle linee di basso che rimandano al reggae, alla “mashing” ambient, alla musica hip hop a quella a indie, a un nuovo modo di utilizzare l'elettronica».
Quanto è mutato il ruolo di chi propone musica elettronica?
«I computer dominano ormai da anni la scena. Il traktor è la regola per i dj, che forse dovrebbero essere chiamati “tjs”. L'intera musica elettronica viene riusata senza sostanziali cambiamenti o miglioramenti o viene riconfezionata. La musica oggi ha perso molto del significato di un tempo e, visto come sta andando il mondo, trovare gli stimoli giusti è diventato molto difficile».
Resta il fatto che i vostri live sono sempre trascinanti e offrono anche fantastici viaggi nelle immagini, nella luce e nel colore.
«È stato così dall'inizio della nostra avventura. La parte visual, ha sempre avuto una grande importanza nei nostri set. Musica da ascoltare, da ballare, ma anche da “vedere”. Proprio come l'altra notte. Mi sembra che il pubblico abbia risposto bene a quello che succedeva sul palco».
Era la prima volta che suonavate in Sardegna…
«Esibirmi nella terra del mio giocatore di calcio preferito di tutti tempi, Gianfranco Zola, è stato un piacere».
Quanti e quali sono i musicisti che hanno influenzato il vostro percorso sonoro?
«Sono tanti. Brian Eno, Joe Gibbs, 10cc, Motown, Lee Scratch Perry, Led Zeppelin, Derrick May, Manuel Gottsching, Cluster, Kraftwerk & Big Youth».
Parecchi anni fa Brian Eno definì il dee-jay “usicista del futuro”. Oggi è molto di più: è il detentore del successo dei suoni a cui ricorrono le star del pop e del rock…
«Una volta in una galassia vicina alla nostra, i guardiani inventarono la parola il primo giorno: la musica era nata. Il secondo giorno, fu creato il vinile, e il terzo nacquero i giradischi gemelli. Il quarto apparve il dj. Il giorno dopo volò a Ibiza. Il sesto e il settimo, il dj creò il fine settimana e i guardiani danzarono. E Eno vide il futuro attraverso occhiali tinti di rosa».
A proposito di collaborazioni, nel 2010 avete lavorato con David Gilmour e nel 2013 con Lee Scratch Perry…
«Mai giudicare un libro dalla sua copertina e non gettare via la tua maglietta “Odio I Pink Floyd”! Lee è un profeta e David è appesantito? Lee canta dell'amore e dell'armonia e David parla in maniera propulsiva? Naturalmente, è una battuta. Rispetto totalmente entrambi e vorrei che Hendrix fosse ancora vivo».
Spotify uccide la musica? O sta salvando il mercato discografico…
«Salvando il mercato discografico? Un sacco di balle. Spotify sta uccidendo i musicisti. Punto e basta».
Carlo Argiolas