Rassegna Stampa

La Nuova Sardegna

«L’Italia corre il rischio di una svolta autoritaria»

Fonte: La Nuova Sardegna
2 maggio 2014


Il giurista sabato a Cagliari per partecipare al Festival della filosofia


 


Potere concentrato al vertice, meno controllo e indebolimento degli istituti di garanzia: così riduciamo gli spazi della democrazia

di Costantino Cossu

Come con le parole si costruisce il diritto e come il diritto costruisce le parole. Un doppio canale attraverso il quale, se le cose funzionano, l’attività legislativa su cui si fonda la vita di una comunità definisce un quadro normativo capace di rispondere alle esigenze dei singoli e dell’intera collettività. Oggi però sempre di meno le cose funzionano, con effetti negativi che sono sotto gli occhi di tutti. “Parole e diritto” è il tema dell’incontro che sabato prossimo, al Festival della filosofia di Cagliari, vedrà protagonista Stefano Rodotà, giurista da sempre impegnato sul fronte della politica. E proprio sul filo del rapporto tra cultura (giuridica ma non solo) e politica si snoda il colloquio con Rodotà in attesa dell’appuntamento cagliaritano. Professor Rodotà, come si configura oggi il rapporto tra linguaggio e diritto? «Il diritto è una forma di linguaggio che può essere adoperata in maniera ambivalente: per rispecchiare la realtà oppure per occultarla; per sistematizzare un corpo di norme aderente agli interessi collettivi, oppure per favorire interessi corporativi o comunque di parte, se non addirittura personali. Quest’ultima eventualità è più facile che si realizzi se passa, per carenza di competenze giuridiche o per strategia voluta, la logica che le leggi siano confuse, non chiare, non immediatamente interpretabili». Lei si rifà a una tradizione, quella illuministica, secondo la quale il diritto deve essere comprensibile da tutti. Oggi è così? «La immediata comprensibilità delle norme giuridiche è uno dei passaggi fondamentali attraverso i quali si è definita la modernità. Il diritto deve essere un linguaggio accessibile non solo sul piano strettamente materiale (disponibilità effettiva dei codici) ma anche sul piano della interpretazione. Stendhal, in una lettera indirizzata a Balzac mentre vergava le pagine di quel grande capolavoro che è “La Certosa di Parma”, annota: “Per trovare il tono giusto alla mia scrittura leggo ogni mattina due o tre pagine del Codice civile”. Ecco: ci possono essere testi normativi immediatamente comprensibili come quello di un romanzo realistico alla Stendhal, stilisticamente accettabili e nei quali si ritrova, tutta intera, la realtà». C’è però un altro modo di usare il linguaggio del diritto, un modo che c’entra poco con la chiarezza della Ragione cara alla cultura illuminista di matrice francese… «Sì. Come dicevo, il diritto può essere usato anche per nascondere la realtà, per manipolarla secondo fini che con la natura del diritto medesimo non hanno niente a che fare. Ciò può accadere, ad esempio, per difetto di tecnica. E in questo caso l’effetto perverso può, ovviamente, anche non essere intenzionale. Mi spiego: se voglio redigere una norma che sia, come sempre dev’essere a termini di diritto, generale ed astratta, devo essere capace, tecnicamente, di scriverla in modo da comprendere nel testo situazioni che possono essere, tra loro, molto diverse. Se non sono in grado di fare questo, posso anche arrivare a redigere non una norma generale ed astratta valida per tutti, ma una legge valida per pochi, se non addirittura “ad personam”. Poi c’è un’altra maniera, che presuppone una intenzionalità: io voglio deliberatamente rendere poco comprensibile la legge al comune cittadino per riservarne la comprensione a una casta di sacerdoti del diritto, i quali saranno i soli che potranno dire qual è il significato della legge. Con due vantaggi, per i sacerdoti: uno di potere e l’altro, come è facile intendere, economico». Un secondo aspetto del rapporto tra parole e diritto riguarda il modo in cui il diritto considera le parole. «Anche su questo aspetto vorrei fare un riferimento concreto. L’articolo 21 della Costituzione garantisce la libertà di manifestazione del pensiero. Il diritto diventa lo strumento grazie al quale la parola, la libera manifestazione del pensiero, viene tutelata come un diritto fondamentale della persona. Come sappiamo, però, questo diritto non è assoluto, può essere vincolato a dei limiti. E qui si apre tutta una serie di questioni oggi particolarmente vive. La libertà di parola, ad esempio, si confronta con il divieto alla diffamazione: il mio diritto limitato dai i diritti di altri soggetti. Ma poi c’è il problema più generale del diritto al dissenso, che è molto complicato. Quali sono i confini entro i quali il dissenso può essere manifestato? Pensiamo al linguaggio dell’odio nei confronti delle donne, degli ebrei, dei neri, degli omosessuali. Sino a che punto si può considerare che queste forme violente di linguaggio rientrino nel diritto al dissenso? Non è una questione pacifica. Negli Stati Uniti ci sono sentenze che legittimano anche queste tipologie estreme del diritto alla libera manifestazione del pensiero. Un altro ambito di possibile limitazione della libertà di parola è il negazionismo storico.

Come si vede, tutte questioni aperte”. A proposito di dissenso, lei è tra i firmatari di un manifesto contro le riforme istituzionali messe in cantiere dal governo in carica. Un documento che si intitola “Verso una svolta autoritaria”. Renzi liberticida? «Qui dal rapporto tra parole e diritto ci spostiamo al modo in cui si sta tentando, nel nostro Paese, di cambiare l’assetto costituzionale. Se io strutturo un sistema istituzionale, come c’è il concretissimo rischio che accada oggi in Italia, prevedendo una concentrazione di potere al vertice, indebolendo norme e istituti di controllo e di garanzia, eliminando gli equilibri tra poteri, sto facendo un’operazione che non è neutra rispetto al grado di agibilità degli spazi della democrazia. La parola autoritarismo può impressionare. E però, ci sono varie forme di autoritarismo. Non c’è solo quello che abbiamo conosciuto durante il ventennio fascista. Anche ridurre gli spazi della democrazia significa praticare una forma di autoritarismo. Ma c’è, oltre al merito, una questione di metodo: autoritarismo è quando, di fronte ad un progetto di riforma costituzionale molto discutibile, alle critiche si risponde con un drastico e ultimativo “prendere o lasciare”. Non c’è margine per la discussione, il confronto disturba il manovratore e tutto ciò che è pensiero critico viene espulso dal dibattito politico. Uno dei caratteri fondativi della democrazia è il dialogo. Posso non essere d’accordo con le tue opinioni, ma sono tenuto a discuterne, a prenderle in considerazione, non mi posso negare al confronto. Quando, come oggi accade, queste premesse sono cancellate, c’è un pericoloso slittamento verso una tentazione autoritaria». © RIPRODUZIONE RISERVATA 


Al teatro massimo


Da domani tre giorni di appuntamenti


Domani prende il via, al Teatro Massimo di Cagliari, il Festival di filosofia 2014, organizzato dal Teatro Stabile della Sardegna in collaborazione con l’Università di Cagliari Il titolo di quest’anno è “Il conflitto dei valori; la bellezza creata e la bellezza dissipata”, tre giorni di incontri e dialoghi sul concetto di bellezza e di valore. Gherardo Colombo (nella foto), Roberta De Monticelli, Stefano Rodotà, Giuseppe Lorini, Remo Bodei, Pierluigi Lecis, Salvatore Settis, Antonello Sanna, Vito Mancuso, parleranno di giustizia e potere, dell’idea d’Europa e della bellezza dissipata del territorio.