Rassegna Stampa

La Nuova Sardegna

Da soldato a santo Conversione e martirio

Fonte: La Nuova Sardegna
2 maggio 2014


 


di Manlio Brigaglia

 

Cagliari, 22 gennaio 1793. Da qualche settimana sono apparse sulla costa di Sant'Antioco le vele di un'intera flotta francese. La Francia rivoluzionaria è in guerra con il Regno di Sardegna, questo è l'inizio d'un'invasione. I cagliaritani sperano nelle difese apprestate un po' di malavoglia dal viceré, ma chiedono aiuti al cielo. E prima di tutto al santo che li protegge ormai da secoli. Così si fa una grande processione: «Il concorso del popolo era immenso», racconta Giuseppe Manno, destinato ad essere il primo grande storico della Sardegna: nella processione ci sono anche «miliziani venuti da lontane regioni che marciano nella sfilata con lo schioppetto nell'una mano e il rosario nell'altra, recitandolo». Vanno a benedire il bastione «rasente al molo», che è intitolato proprio al santo, «che il popolo appella in questa occasione il suo generalissimo». Il "generalissimo" farà il miracolo. Quattro giorno dopo sette navi di linea e due fregate bombardiere si schierano davanti alla città. La bombarderanno per sei ore filate, dalle otto del mattino alle due del pomeriggio, un numero incredibile di colpi (ma il Manno non batte ciglio a riferirlo): 40 tra palle, granate e bombe al minuto, che fa un bombardamento di 14.400 colpi. Ci sono solo cinque morti, quasi nulla in confronto alla tempesta di fuoco che si è abbattuta sulla città. Una stampa popolare, diffusissima subito dopo, esalta, sullo sfondo del panorama della città, il santo che vola in cielo fermando le bombe con le mani, plasticamente disteso alla parata come un Buffon in gran forma. Né basta: quando due anni dopo la folla lincia i ministri Pitzolo e della Planargia sospettati di progettare la repressione, c'è una festa "celebrata nella chiesa di Sant'Efisio con pompa solenne, dopoché erano trascorsi pochi giorni dall'uccisione del generale, destinata a ringraziare Iddio per la pace ridonata alla capitale". Sant'Efisio non è un santo inventato, anche se non c'è traccia del suo nome in documenti come il "Martirologio" geronimiano, un elenco dei primi martiri. Ne racconta la vita una "passio" composta fra il 1200 e il 1300 (le "passiones" erano racconti della vita dei martiri cristiani, a futura memoria) che, anche se rifatta sul modello di un'altra "passio", quella di Procopio di Cesarea, contiene, secondo gli studi più recenti, indizi della conoscenza di Efisio in Sardegna già nel periodo bizantino: come dimostrerebbe il titolo che gli viene assegnato, di "stratilates", un alto grado militare in uso al tempo del dominio bizantino nell'isola. Efisio, dice la "passio", era nato nella città di Elia (ma si discute se fosse la città egiziana di quel nome o addirittura Elia Capitolina, che era Gerusalemme) o forse ad Efeso (di qui il suo nome, oggi tra i più diffusi nell'isola) verso la fine del III secolo, sotto l'imperatore Diocleziano. Famiglia nobile e abbastanza importante: il padre, Cristoforo, era cristiano, la madre Alessandra pagana. Alla precoce morte del padre, la madre lo presenta all'imperatore. Efisio era, lo dico con le parole di Adriano Vargiu, grande studioso dei santi sardi, "giovinetto di straordinaria bellezza, coraggio, disponibilità, educazione"(non facile da immaginare, se abbiamo negli occhi la statua di oggi, con quei baffetti spagnoleggianti e l'età più avanzata).

 

Colpisce l'imperatore, che lo arruola, lo nomina ufficiale e lo manda capitano in Calabria. È qui che avviene la sua conversione, raccontata nella "passio" come quella di san Paolo. Mentre va a Uritania (forse la Benevento di oggi), una voce dal cielo gli chiede: "Dove pretendi di andare?". Lui per nulla impaurito risponde con una domanda: "Chi sei?", e la voce gli dice: "Io sono Gesù. Figlio di Dio, crocifisso dai giudei, da te offeso e perseguitato. Seguimi, ho pronta la palma del tuo martirio". Di colpo Efisio si converte, e arrivato a Gaeta si fa battezzare: c'è anche un segno miracoloso, quando si fa fare una croce d'oro, e su questa appaiono misteriosamente i nomi di Michele, Gabriele ed Emanuele. Lo mandano in Sardegna, e a Carales la sua fede (che è tradimento della divinità dell'imperatore) è subito dichiarata: scrive alla madre e allo stesso Diocleziano perché si convertano anche loro. Arrestato, soffre una serie di persecuzioni e di orribili torture: condannato a morte, viene portato a Nora e qui decapitato il 15 gennaio 286 (ma ci sono altre date, perfino il 5 gennaio 303: ma sempre a Nora, che entra così nell'itinerario del pellegrinaggio popolare che gli rende grazie dal 1° al 4 maggio di ogni anno). La "passio" dice che prima di morire Efisio pregò Dio di proteggere Cagliari e i suoi abitanti "dai nemici, dalle carestie e dalle epidemie". Così, quando la terribile peste che nel febbraio del 1652 aveva falcidiato la popolazione cagliaritana (erano morti quasi tutti i consiglieri comunali, il viceré era scappato a Sassari) cessò di colpo, la Municipalità decise di ringraziare sant'Efisio, il cui culto si era radicato nella città ormai da secoli, nominandolo ufficialmente suo patrono. L'immagine più commovente di questa leggenda sacra resta però in quei fotogrammi tremolanti del 1943, quando un coraggioso fedele mise la statua sul camioncino e s'avviò verso Nora, con uno sparuto manipolo di fedeli terrorizzati, ma sicuri della protezione del loro santo. ©RIPRODUZIONE RISERVATA