Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

In processione contro le bombe

Fonte: L'Unione Sarda
22 aprile 2014

 Dei quattro riti d'aprile è quello più vicino alla grande festa. Ieri, rispettando la tradizione, la processione di Sant'Efisio in Cattedrale ha riproposto il fascino e l'intensità di una cerimonia corale che, ogni Lunedì dell'Angelo, riunisce idealmente il quartiere di Stampace con l'universo dei fedeli che s'invoca al Santo protettore della città e di tutti i sardi. Alle 8, approntate le operazioni preliminari della processione, il simulacro scortato dai confratelli, dalle consorelle e dai devoti ha iniziato il lento cammino dalla chiesetta di Stampace verso Castello. All'arrivo, dopo l'omaggio del Capitolo metropolitano, la messa. Al rientro sono stati benedetti i buoi che il primo maggio traineranno il cocchio di gala e poi quello di campagna, in attesa a casa Ballero a Giorgino, prima tappa del trasferimento di Sant'Efisio a Nora, luogo del suo martirio avvenuto il 15 gennaio del 303. La processione del Lunedì dell'Angelo la si fa in ricordo dell'assalto francese del gennaio-febbraio 1793. Non appena ci furono le prime avvisaglie dell'aggressione della flotta repubblicana al comando del contrammiraglio Truguet, la città si rivolse ai suoi santi protettori Saturnino ed Efisio e alla Vergine del Rosario. «Il popolo», ha scritto il canonico Felice Putzu in occasione del terzo centenario della cessazione in Sardegna dell'epidemia del secolo XVII, «si unì al suo Pastore nella penitenza, nei digiuni e nelle processioni espiatrici». Il Pastore era Vittorio Filippo Melano, eletto arcivescovo di Cagliari dal papa Pio VI nel 1778. Gli storici hanno raccontato la processione del 22 gennaio del 1793: l'immagine di Sant'EFisio fu trasportata nel nuovo “baluardo eretto in riva al mare”. Scrive Giuseppe Manno: «Era bello il vedere quel gran numero di miliziani, venuti da lontane regioni, che marciava alla sfilata collo schioppo in mano ed il Rosario nell'altra, recitandolo a squadre con una compostezza e gravità, da commuovere l'animo degli astanti».
Pietro Picciau