Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Attori disgraziati e morti di fama

Fonte: L'Unione Sarda
1 aprile 2014


Debutta domani a Cagliari “L'impresario delle Smirne”
 

Roberto Valerio sceglie un testo di Goldoni del 1759
«per raccontare la dura vita degli uomini di teatro»
 

G li attori di teatro? Disgraziati precari, boriosi e ciarlieri, all'inseguimento del doppio miraggio celebrità-ricchezza. Facili prede di impresari loschi e avidi. Tre secoli fa come oggi. Carlo Goldoni ha scritto “L'impresario delle Smirne” nel 1759, ma «da allora la situazione degli artisti non è migliorata e la riflessione può essere estesa a tutto il mondo del lavoro. Siamo sempre in lotta», spiega il regista-attore Roberto Valerio che ne ha curato l'adattamento.
La pièce, proposta dall'Associazione Teatrale Pistoiese e inserita nel circuito Cedac, debutta domani al Massimo di Cagliari (ore 20.30). Proseguirà tutta la settimana (giovedì spettacolo anche alle 16.30) sino a domenica (ore 19). Poi si trasferirà a Sassari: lunedì e martedì prossimi al Teatro Civico (ore 21). In scena con Roberto Valerio, che si è ritagliato il ruolo del Conte Lasca, procacciatore teatrale, anche Valentina Sperlì, Antonino Iuorio, Nicola Rignanese, Massimo Grigò, Federica Bern, Alessandro Federico, Chiara Degani e Peter Weyel. Le scenografie sono di Giorgio Gori, i costumi di Lucia Mariani e le luci di Emiliano Pona.
L'isola ha già avuto modo di apprezzare gran parte della compagnia in altre due occasioni: «Quattro anni fa abbiamo portato il “Vantone” di Pier Paolo Pasolini e successivamente “Un marito ideale” di Oscar Wilde».
“L'impresario delle Smirne” è commedia un po' anomala nella produzione goldoniana.
«È una commedia corale, un grande affresco del mondo del teatro e degli artisti, che lui conosceva bene. Ma dopo la prima parte di presentazione dei personaggi, inizia l'azione con l'arrivo dell'impresario dell'Oriente che promette facili guadagni ai poveri disgraziati».
Un testo così si può trasporre in qualsiasi periodo: perché gli anni '50 del Novecento?
«Goldoni parlava di una compagnia di cantanti lirici, ma ho scelto il Dopoguerra perché ci sono molte similitudini. Gli attori d'avanspettacolo facevano la fame, però poi alcuni sono diventati i grandi attori del nostro cinema. Ci sono personaggi felliniani. Si ride ma si riflette anche sulle amarezze del mondo lavorativo contemporaneo».
Pochi soldi per il teatro, ma gli impresari sono rimasti loschi come li descriveva Goldoni?
«Anzitutto ce ne sono sempre meno. Poi dove c'è potere e denaro inevitabilmente c'è anche sfruttamento».
La soluzione?
«Alla fine del testo Goldoni dice che forse la cosa migliore è mettersi insieme e creare una compagnia per provare a guadagnarsi da vivere. L'abbiamo fatto col nostro gruppo, che dal “Vantone” in poi ha mantenuto l'ossatura. Con questo spettacolo siamo in nove sul palco. In controtendenza rispetto ad un teatro sempre più fatto di monologhi o di spettacoli con solo tre personaggi».
Giampiero Marras