Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

I migranti scendono in piazza

Fonte: L'Unione Sarda
20 gennaio 2014

Sessanta ospiti del Cpa di Elmas si sdraiano per terra - Gli slogan: «Nessuno sia illegale, vogliamo essere cittadini europei»

 

Prima hanno incontrato il prefetto Alessio Giuffrida, poi hanno invaso l'incrocio davanti al palazzo del Municipio. Hanno raccontato le storie che hanno fatto di loro dei richiedenti asilo.

«Document, document, document», urlano in coro in piazza Palazzo. Prima due ore di confronto col prefetto, poi la protesta si trasferisce in via Roma. Arrivano in sessanta, dal centro di prima accoglienza di Elmas, armati di cartelloni colorati, poco dopo le 13. Le scritte sono in inglese: “Migrare non è reato”, si legge. Sullo sfondo rosso spicca in nero: “Nessuno deve essere illegale”. Tirano in ballo la dichiarazione universale dei diritti dell'uomo: “Tutti nasciamo liberi in dignità”. Citano pure Einstein: “Gran brutta malattia il razzismo. Più che altro strana, colpisce i bianchi e fa fuori i neri”.
Il passato in Africa, la casa da qualche mese nel centro di prima accoglienza di Elmas. Alle spalle c'è la la fuga da terre dilaniate dalle guerre, dai conflitti etnici, dalle persecuzioni religiose e sessuali. «Viviamo in condizioni disumane. Non ci danno soldi e il cibo è poco», si lamenta Paul Uiklabori, 22 anni, fuggito dalla Nigeria e arrivato a Cagliari a settembre. Anche Seku Gurassy ha solo ventidue anni, è partito dalla la Guinea Bissau, è passato per il cuore della disperazione: Lampedusa. A giugno è stato trasferito in Sardegna insieme ad altri connazionali. «Ho perso tutti i miei parenti nella guerra civile, sono rimasto solo», racconta sgranando gli occhi. Accanto a lui Marcus Doctor Acalatae, 26 anni, natali in Liberia. Stesso destino: «Ho perso i genitori e un fratello in guerra».
I documenti registrati dalle forze dell'ordine parlano poi di tante storie partite da Senegal, Mali, Sierra Leone, Ghana o Gambia. Marchio a fuoco di paesi in cui i diritti civili non esistono manco sulla carta. Sognano il permesso di soggiorno, chiedono lo status di rifugiati politici.
Si presentano di nuovo nel cuore della città (dopo la protesta analoga del 13 settembre scorso) per far sentire la loro voce. Stesi sull'asfalto sventolano i cartelloni, in mezzo la bandiera dell'Usb, Unione sindacale di base, promotrice del sit-in. I carabinieri in tenuta antisommossa e i poliziotti vigilano sulla manifestazione partita a mezza mattina in prefettura. Per tre ore gli automobilisti vengono dirottati su percorsi alternativi. «Document document document», gridano in coro. Stretti l'uno accanto all'altro portano avanti la stessa battaglia. «Per il riconoscimento dello status di rifugiati e l'estensione a tutti del trattato di Schengen sulla libera circolazione all'interno dei Paesi sotto il mantello dell'Unione Europea». Il traffico si paralizza, la protesta è rumorosa ma i toni non scadono mai.
Alle 14,55 i giovani africani si allontanano a gruppetti, in pochi minuti la strada si libera e tutto torna alla normalità.
La mattina di fuoco inizia in piazza Palazzo. Il prefetto Alessio Giuffrida si siede al tavolo con una delegazione ristretta. Davanti a lui due coordinatori dell'Usb e due ospiti del centro di prima accoglienza. Le rivendicazioni sono precise. «Chiediamo la protezione internazionale per i rifugiati, i richiedenti asilo e il riconoscimento di un visto o una protezione umanitaria anche sussidiaria», spiega Federico Carboni, del coordinamento regionale dell'Usb. Il suo collega Salvatore Drago mette sul piatto anche «la concessione del visto di Schengen per tutti gli immigrati in transito in Italia che dichiarano di voler raggiungere altri paesi europei».
Poi la parola passa al prefetto. «Lo status di rifugiati non viene dato a tutti in maniera indistinta ma solo a chi dimostra di avere avuto una situazione di personale persecuzione o arriva in Italia da Paesi in cui le condizioni di vita sono a rischio», spiega. «I criteri sono definiti dal ministero dell'Interno». Ma garantisce il massimo impegno per cercare una soluzione. «Trasmetterò le vostre richieste al Governo», assicura Giuffrida alla delegazione. E «chiederò di approfondire il livello di rischio diffuso nei loro Paesi d'origine ai fini di ottenere il riconoscimento dello status di rifugiati». A Cagliari si ottengono promesse, ora la palla passa a Roma.
Sara Marci