Studenti a teatro per discutere di femminicidio - Una campagna del ministero sull'educazione al rispetto
Un acceso dibattito con 500 studenti delle scuole superiori subito dopo la rappresentazione del testo teatrale di Cristina Comencini “L'amavo più della sua vita”.
«La società dà alle donne un ruolo difficile perché da un lato propone il modello di femmina provocante e al servizio dell'uomo e, allo stesso tempo, promuove la donna casta. Serve una sensibilizzazione più ampia, a partire dal linguaggio, dalle tv e dai giornali. Tutti noi, inconsapevolmente, siamo complici di ciò che accade».
Valeria, studentessa cagliaritana, è intervenuta ieri mattina, all'Auditorium comunale, nel dibattito sulla violenza di genere che il Ministero dell'Istruzione ha promosso con la campagna nazionale “Mai più complici”. Oltre 500 studenti delle scuole superiori cittadine e delle classi terze delle medie di Selargius hanno partecipato all'iniziativa alla quale ha aderito l'associazione Se Non Ora Quando? in sinergia con l'Ufficio scolastico regionale e l'assessorato comunale alla Cultura.
Sul palco L'amavo più della sua vita , testo di Cristina Comencini per la regia di Roberto di Maio con gli attori Claudio Cotugno e Valentina Sarno. Consumata l'azione scenica, in cui un ragazzo e una ragazza si interrogano sul femminicidio di una loro amica, si apre lo spazio per un confronto con i giovani. «Nello spettacolo avete ripetuto Come è potuto succedere? - chiede Nicola, - «secondo me, prima di un gesto estremo, c'è la mancanza di dialogo con gli amici e persone vicine». Una sua compagna parla di un discorso imposto dalla società che insegna alle donne a non avere una identità e chiede loro di essere caste ma sensuali: «L'identità sessuale femminile diventa degli altri. Ed esiste una cultura dello stupro in cui le donne sono colpevolizzate». In disaccordo uno studente delle medie: gli uomini devono resistere alle donne oggetto «ma alcune lo fanno apposta» vestendosi in modo provocante. Si accendono gli animi. «Questo sta vaneggiando», riferisce lontano dal microfono una ragazza alla sua professoressa. «Ma tu non cerchi di vestirti più bellino per piacere di più, esattamente come facciamo noi?», è la domanda posta da un'altra. E i suoi compagni commentano in difesa delle donne.
Uno dei tasti sensibili è quello della denuncia mancata della vittima di violenza. Non cerca aiuto per paura, rabbia e vergogna. Un ragazzo, dopo aver toccato il tema degli stereotipi uomo/donna anche nel caso degli omosessuali, riferisce di un'amica che si trascina i segni del pestaggio del fidanzato: non trovava il coraggio di lasciarlo. «Ci sono uomini che si sfogano solo con la violenza ed è la cosa più infima», conclude. «Sono gli uomini a essere educati male, cresciuti con una mentalità sbagliata. Non vogliono cambiare perché è conveniente restare così», afferma una ragazza raccogliendo un'ovazione.
«Meglio denunciare subito», avverte l'attore, perché gli uomini che commettono violenza non smettono. Lo scorso anno in Italia sono state uccise oltre cento donne da mariti, fidanzati o ex. «Riteniamo urgente parlarne nelle scuole, assieme agli insegnanti e ai genitori per capire gli errori del passato ed evitarne di nuovi», è il commento di Anna Carabetta di Se Non Ora Quando Libere di Roma. «Abbiamo caldeggiato il progetto perché parlarne nelle scuole è necessario per cambiare la cultura», precisa Rita Gigliola Bonafini, responsabile dell'organizzazione dell'evento per Se Non Ora Quando? Cagliari. Forse non viene indagata a sufficienza una delle sollecitazioni: spesso sono le ragazze a usare per prime la parola puttana rivolgendosi alle altre. Come diceva Valeria è una questione di sensibilizzazione, anche nel linguaggio di ogni giorno.
Manuela Vacca