Rassegna Stampa

La Nuova Sardegna

Migranti, una vergogna infinita

Fonte: La Nuova Sardegna
21 ottobre 2013

IL FESTIVAL » ARTE E COMUNITÀ 
 
Incontro tra Rossella Urru e Giacomo Sferlazzo, testimone della tragica esperienza di Lampedusa 
 

 
 
 
 
 



di Daniela Paba

CAGLIARI «La decisione di occuparmi dei campi profughi sharawi in Algeria l’ho presa dopo aver conosciuto la situazione dei rifugiati in Italia. Allora, era il 2007, lavoravo a Ravenna nei corsi di italiano per richiedenti asilo e lì è nata la voglia di capire meglio una situazione insostenibile per i rifugiati, ma anche per tutti coloro che con loro lavorano: operatori, impiegati delle questure e delle prefetture. Un sistema malato, un fare fittizio che provoca un altissimo senso di frustrazione. Volevo capire come veniva gestita altrove questa sedicente emergenza, che nasce da situazioni incancrenite, mentre quella che vediamo è solo l'ultima onda d'urto». Le parole di Rossella Urru suonano dure, ma allo stesso tempo delicate, risaltano per contrasto con l'espressività sicula di Giacomo Sfarlazzo, sullo sfondo del Mediterraneo che si affaccia sul Lazzaretto di Sant'Elia. Dai campi profughi dove vive in esilio il popolo Sharawi a Lampedusa, dove sbarcano i migranti sopravvissuti: “Approdi”, spazio della Festa d’arte e Comunità di Carovana e Malik, ha ospitato ieri la cooperante e l'attivista, le loro vite e i progetti che, tra arte e politica, hanno costruito pagando di persona. «C'è una responsabilità – spiega Rossella Urru – iniziata tanto tempo fa, una responsabilità che si rinnova. Quando sono partita volevo capire come vivono i profughi in un paese che non è il loro, nell'impossibilità di tornare a casa, ma anche di andare altrove. Il campo dove lavoravo accoglie una popolazione di 200.000 persone, il loro governo in esilio in uno Stato amico, un popolo che porta avanti una lotta di decolonizzazione e vuole l'indipendenza, uomini, donne e bambini fuggiti dall'occupazione delle loro terre da parte del Marocco. Dieci anni di autogestione con gli aiuti dei paesi amici. Dal 1986 sono entrate, per l'emergenza alimentare, le Nazioni Unite, che non guardano l'esilio, la lotta politica, ma mantengono in vita l'uomo biologico: razioni alimentari, sanità minima. Succede però uno strano fenomeno: il tipo di dieta che stanno ricevendo sta provocando più danni alla salute della stessa denutrizione. Noi gestivamo diversi progetti con l'università, il teatro, perché un popolo per mantenersi in vita non ha bisogno solo di mangiare, ma di programmi che tutelano la cultura, la poesia, la lingua, l'espressività, che diversamente andrebbero perdute». E contro la decisione di Maroni di istituire a Lampedusa un centro d'accoglienza è nata l'associazione di Giacomo Sferlazzo, Askavusa. «L'isola nel 2009 era completamente militarizzata – racconta il musicista – C'era un militare ogni dieci persone. L'associazione presta aiuto ai migranti in modo gratuito e da sei anni facciamo un festival di cinema e di letteratura. Abbiamo ricevuto due medaglie della presidenza della Repubblica e le abbiamo rispedite indietro. Abbiamo raccolto gli oggetti dei migranti che venivano triturati nelle discariche, spazzatura dove c'erano lettere, fotografie, bibbie e corani. Con più di 800 oggetti e tre barche stiamo mettendo su un museo diffuso delle migrazioni. Nel 2011 Lampedusa era un campo profughi: 7000 profughi e 6000 lampedusani. Senza lo Stato, che non c'è mai. I ragazzi tunisini vivevano per strada, 22 chilometri quadrati. Ai funerali di Stato io c'ero: più di 500 morti. Quando sono arrivati i parenti, ospiti dei lampedusani, li abbiamo portati dai carabinieri. Ci sono voluti due giorni e mezzo per avere un’autorizzazione per andare a pregare nell'hangar dov'erano le bare. Quando i parenti sono andati nell'hangar le bare non c'erano più, erano in porto, una gru le caricava su una nave militare. Arrivano i parenti e si sbarcano le bare, si piangono i morti e poi la gru le riporta sulla nave. Lampedusa sta gestendo un problema internazionale da sola, il ministero non ha dato direttive, le bare le hanno portate ad Agrigento, a Caltanisetta, senza sapere dove portavano chi. Tutto il resto è spettacolo».